La Sacra Scrittura di domenica 24 settembre

Il commento di don Michele Mosa. «Tu sei invidioso perché io sono buono?»

Sapienza dello scriba ormai discepoli del Regno: come lui stesso aveva detto, dal tesoro estrae cose nuove e cose antiche. Di vigna e di lavoratori, di padroni “ingiusti” e di operai “sindacalizzati” leggiamo anche nel Talmud di Gerusalemme: «Un re assoldò un gran numero di operai. Due ore dopo l’inizio del lavoro, venne a visitare gli operai. Vide che uno degli operai si distingueva sopra tutti gli altri per la sua diligenza e abilità. Lo prese per mano e passeggiò con lui qua e là fino a sera. Quando i lavoratori vennero a ricevere il loro salario, quegli ottenne la stessa paga degli altri. Allora si misero a mormorare e a dire: noi abbiamo lavorato tutto il giorno e costui soltanto due ore; tuttavia, tu gli hai dato il salario intero! E il re di rimando: Io non vi faccio ingiustizia, perché quest’operaio ha fatto in due ore lo stesso lavoro che voi avete compiuto in un giorno». Cose vecchie dunque; poi viene la novità, il cambio, inaspettato, di registro: lo scontro fra l’egoismo e la generosità. Non è più semplice questione di contratto e di giustizia, e non è nemmeno questione di bontà e di generosità contro egoismo e meschinità. È questione di occhi, come si legge nell’originale greco: «il tuo occhio è malvagio». E la tua malvagità esplode incontrollata davanti alla mia generosità. Cosa risaputa già dall’autore del Siracide: «È malvagio l’uomo dall’occhio invidioso, volge lo sguardo altrove e disprezza la vita altrui». Accuso te per nascondere la mia non accoglienza dell’altro. Dietro il dito puntato contro il padrone c’è il mio giudizio sul collega. La bontà del padrone smaschera la pochezza del lavoratore. Per dirla con Søren Kierkegaard: «Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere, uno svelare, ma al tempo stesso un atto creativo». Non ci è chiesto lo sforzo della volontà per diventare buoni – si chiama buonismo –, ci è chiesto il cammino della conversione. Ci è chiesto di lasciarci fare dal Padre: occhi nuovi e cuore nuovo per diventare, come lui, capaci di comunione. E di uscire più che per questione di economia, per questione di umanità. Non siamo colleghi, siamo fratelli e sorelle.

 

Don Michele Mosa