La Sacra Scrittura di domenica 24 marzo

Il commento di don Michele Mosa. «La mia anima è triste fino alla morte»

Di Don Michele Mosa

 

Chi non trema di paura davanti alla morte? Anzi davanti al solo pensiero di dover morire? La morte è lo shock più duro che l’uomo deve affrontare. “Ekthambeísthai”, il verbo che usa Marco potrebbe essere tradotto con “rimase impietrito, paralizzato” di fronte al la morte. Come gli capitò davanti alla tomba di Lazzaro: impietrito, paralizzato, senza parole davanti alla morte dell’amico. Non gli restò che piangere. Stesso sentimento che lo assalirà uscendo dal cenacolo per andare al Getsemani: la mia anima è triste fino alla morte. Morire è sinonimo di fallimento: la missione resta incompiuta. È una vita stroncata nel fiore degli anni. Ma quella morte è il disegno del Padre: se il chicco di grano non muore rimane senza frutto. Paralizzato davanti alla morte. Spaesato di fronte al disegno del Padre. Non si entra nella Settimana Santa a cuor leggero: varcare la soglia di Gerusalemme è accettare di tornare più sui propri passi. È conversione “allo stato puro”. Guardatelo quel corpo appeso alla croce. Guardate quell’uomo crocifisso. È Dio. Dio si rivela nell’umanità di un crocifisso. Nella debolezza di un uomo che trema di paura davanti alla morte. Commentava Bruno Maggioni: “Se c’è una cosa, ve lo confesso, che mi entusiasma leggendo il racconto della Passione e vedendo che figura di Figlio di Dio emerge, è che mi trovo davanti ad un Figlio di Dio che non è sfuggito a niente di quanto fa parte dell’uomo. Nulla. Ha vissuto persino cosa vuol dire essere un uomo davanti a Dio. Noi davanti a Dio a volte siamo spaesati e questa esperienza, che è tipica dell’uomo, di provare scandalo di fronte a Dio ed essere spaesati, il Figlio di Dio l’ha vissuta e ha fatto bene perché se non avesse vissuto questa esperienza, che è quella più profonda dell’uomo, quella che conservo più gelosamente e che mi fa essere uomo, era un uomo diverso: sarebbe sfuggito all’esperienza più scandalosa dell’uomo”. Ha ragione il centurione che vedendolo morire dice: “Veramente quest’uomo era il figlio di Dio”.