La Sacra Scrittura di domenica 28 gennaio

Il commento di don Michele Mosa. «Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo»

Un uomo. L’uomo. Nudo come Adamo. Spoglio come Eva. Uomo/donna vestiti solo della loro umanità, meglio della loro creaturalità. Vestiti solo di se stessi, delle loro qualità e dei loro limiti. L’uomo, dunque. Quello che scendeva da Gerusalemme a Gerico e rimase al bordo della strada mezzo morto. Quello che aveva due figli ma uno restava sempre fuori casa. Aveva generato due corpi ma quanta fatica a dar vita a due anime. Quello, distrutto dalla tortura dei soldati ma ancor più dal tradimento e dall’abbandono degli amici più cari, che Pilato mostrerà alla folla prima di condannare alla croce. Un uomo. Solo un uomo. (E come non pensare alla donna lasciata dai suoi giudici, fuggiti uno alla volta senza proferir parola, da sola davanti a Gesù). Un uomo. Una donna. E Gesù, il Dio fattosi carne. Scambio di sguardi, profondi. E poi parole di rivelazione: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Oggi, solo, davanti a quel Gesù, Dio fattosi uomo, ci sono io. Contemplo il Crocifisso e vorrei dirgli le stesse parole ma non mi nascono dal cuore, sono piuttosto riflesso di pagine scritte da altri e studiate sui banchi di scuola. Quelle parole non hanno né il sapore della rivelazione né quello dello stupore men che meno quello del disappunto o del rancore: ti chiamo Signore, ti professo mio Signore ma non ti conosco e non so riconoscerti. Quel crocifisso mi lascia a bocca aperta e senza parole ma non sono sicuro di riconoscerlo «mio Signore», «il Santo di Dio». Forse – e lo dico balbettando – per trovare in quel crocifisso Dio, il Dio fattosi uomo, bisogna prima riconoscere l’uomo, i tanti uomini e donne crocifissi nella e dalla storia. Così mi ritrovo ancora una volta a pensare che avesse ragione padre Yves Congar a dire che «Le nostre chiese sono ancora piene di pagani che vanno a messa». E uno di questi, anzi quello che apre la fila e guida la processione, sono proprio io. O, per dirla con il filosofo Salvatore Natoli: «L’ateo può essere non turbato da quello che il cristianesimo annuncia, dal contenuto improbabile di questa fede, ma di certo è turbato dal fatto che vi siano uomini capaci di essa». Ne basterebbe uno. Ma di certo non sono io.

                                                                                                                                                                               Don Michele Mosa