La Sacra Scrittura di domenica 11 giugno

Il commento di don Michele Mosa. “Colui che mangia me vivrà per me”

Mangiare: c’è qualcosa di più materiale? C’è qualcosa di più concreto? Mangiare. Bocca e stomaco. Bisogno primario. Tutto si fa per il cibo: si lavora per mangiare. Si esce la sera per mangiare. Sembra che la vita si concentri in questa sola azione: mangiare. L’uomo delle domande si interroga: se sono fatto a immagine di Dio e il mio bisogno primario è mangiare cosa c’entra Dio in tutto questo? Apri la Scrittura e vedrai che tutto inizia con il mangiare: frutta, in particolare. Mangiando ci si allontana da Dio, mangiando ci si avvicina a Dio. Però, attenzione: non si tratta di un pasto rituale. Per un cristiano è molto di più. Anzi è totalmente diverso. «Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Questo pane, questa carne che noi chiamiamo Eucaristia, corpo e sangue di Cristo, non risponde se non al bisogno primario fondamentale dell’uomo e della donna: mangiare, cioè vivere o meglio sopravvivere. Come si dice qualche volta: primum vivere, deinde philosophare. In altre parole, prima di tutto vivi, tutto il resto viene dopo. Dunque, l’uomo e la donna vivono per mangiare? O mangiare è per vivere? A vedere certi programmi in tv, mi viene da dire che si vive per mangiare. Riduttivo, dirà qualcuno – e io sono d’accordo – ma senza mangiare si muore. Mangiare però non è solo un bisogno è anche un piacere. E anche di più: mangiare è cultura: l’uomo è l’unico essere nell’universo che cucina il cibo, inventa ricette. E fa della tavola momento di convivialità. Amicizia. Fraternità. Non si mangia per vivere. La questione mi sembra allora semplice e riguarda un duplice paradosso che lega il Dio cristiano all’umanità: c’è una CARNE che nutre l’anima, se così posso esprimermi; Dimmi cosa mangi, e ti dirò chi sei, citando il motto di Jean–Anthelme Brillat–Savarin, celebre chef francese degli inizi dell’Ottocento: «colui che mangia me vivrà per me». Per favore allora non facciamo dell’Eucaristia un gesto devozionale, non facciamo di “quella carne” un oggetto sacro da adorare e portare in processione: quel pane, quel vino, quella carne e quel sangue sono «vero cibo e vera bevanda», sono cioè destinati al bisogno primario di tutto noi: mangiare per vivere. E trasformano la nostra vita perché come un potente virus ci contagiano, ci ammalano di Cristo.

Don. Michele Mosa