La Sacra Scrittura di domenica 11 settembre

Il commento di don Michele Mosa. «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo»

Mettersi a nudo, nulla nascondere: lo stile del discepolo. E più ancora dell’apostolo. Cos’ha da difendere? La reputazione? L’onore? Il proprio nome? Forse la carriera? A volte sembra proprio che il cursus honorum sia più importante del Vangelo. Nulla osare così da nulla rischiare (che – a me sembra – spesso far rima con “la bandiera sventola dove vuole il vento”). Tutto questo però porta ad una salvezza di stampo pelagiano, pericolo dal quale ci mette in guardia Papa Francesco. E prima di tutto, prima perfino che Pelagio sia (sec. IV a Roma), l’apostolo Paolo. Che a Timoteo si presenta innanzitutto per quello che era: «un bestemmiatore, violento e persecutore» (dei cristiani)». Cosa ha cambiato la sua vita? Nessuno sforzo ascetico, nessun rigorismo morale; a fare di Saulo Paolo è stata quella grazia che «sovrabbondò con la fede e l’amore che è in Cristo Gesù». Un incontro e un dono: quello che accadde sulla via di Damasco. E che gli permette di riconoscere il proprio peccato e di confessarlo senza paura alcuna: sono il primo fra i peccatori. Ma se la grazia e la misericordia di Cristo hanno cambiato me, possono cambiare anche voi. L’apostolo è il «primo» dei peccatori e, di conseguenza, si offre come modello esemplare dell’azione salvifica di Dio «a quanti in seguito avrebbero creduto in lui (in Cristo) per avere la vita eterna». Infatti «Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo». Il dono che gli è stato fatto diventa così testimonianza. Lui stesso sperimenta lo scopo dell’incarnazione di Gesù Cristo: la salvezza dei peccatori. Ecco la “buona notizia”: Gesù è venuto nel mondo per dire all’umanità che Dio vuole la redenzione dei peccatori, praticamente degli uomini e delle donne tutte. Abbiamo bisogno di cristiani meno imbalsamati e più testimoni di quella misericordia che loro (noi) per primo abbiamo ricevuto e continuamente riceviamo. L’apostolo riconosce umilmente di essere il «primo» dei peccatori ma pure di essere stato inondato di un amore che non meritava, così che nasce nel suo cuore un inno di ringraziamento e di lode: «Al Re eterno, immortale, invisibile, all’unico Dio, siano amore e gloria nei secoli dei secoli. Amen» (v. 17).

Don Michele Mosa