La Sacra Scrittura di domenica 6 marzo

Il commento di don Michele Mosa. «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato»

Ha quasi un nonsoché di magico: il nome apre strade, protegge, guarisce, salva. Invocalo e ne godrai i benefici: invocare il nome sembra il modo ebraico-cristiano di trasmettere formule magiche. Che è ben più del detto latino “nomen omen”, il nome è il tuo destino. O il tuo cammino è già segnato nel tuo nome. Nel passo della Lettera ai Romani Paolo riprende le parole del profeta Gioele che anche Pietro usa per “giustificare” l’entusiasmo, il coraggio, la parresia dei Dodici il mattino di Pentecoste: chi è guidati dallo Spirito invoca il Signore, cioè Cristo risorto, e in quel nome riceve la salvezza e la annuncia. Invocare è chiamare presso di sé, invitare a casa propria, aprire il cuore e la vita. Invocazione è il grido del bambino che cerca le braccia del papà, che pretende e fa i capricci per ottenere le coccole della mamma: quale posto più sicuro dell’essere stretti dal papà, quale rifugio più desiderato del cuore della mamma? Nessun rito magico, nessuna formula dal sapore fantastico: se c’è un rito è quello della relazione più “umana”, anzi “divina” che ci sia: l’abbraccio della mamma al proprio bambino. Il porto sicuro offerto dal più grande dei supereroi, il papà. Così mi piace allora iniziare il cammino della Quaresima: non nel segno austero delle Ceneri che ti ricordano la fine del tuo cammino terreno né all’insegna della penitenza che incurva il tuo corpo e intristisce l’anima. Niente di tutto questo se non dopo aver ritrovato la consolante e rassicurante relazione con il Padre. Nel nome del Figlio. Sotto l’azione dello Spirito. Perché anche la Quaresima è una questione di “Famiglia”.

 

Don Michele Mosa