La Sacra Scrittura di domenica 6 febbraio

Il commento di don Michele Mosa. «Ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto»

E subito si scatena la caccia al contenuto: cosa ha ricevuto Paolo? Cosa ha trasmesso nella sua predicazione? Senza nulla togliere all’oggetto della predicazione, vorrei focalizzare l’attenzione sul soggetto, anzi sui soggetti della predicazione: Paolo, colui che trasmette e Paolo, colui che ha ricevuto. Mi sembra infatti che il cuore del problema della fede oggi non sia la dottrina, quantunque lo ritengano molti (e penso anche qualcuno dei lettori de “il Ticino”) e nemmeno il catechismo, che certo va rinnovato, ma come trasmettere la dottrina, come “fare” catechismo. Ci azzanniamo sul contenuto e non ci accorgiamo che il vero problema è che non sappiamo più trasmettere quel contenuto. (…) Dobbiamo chiederci chi sono oggi i soggetti dell’annuncio: catechisti, genitori, educatori, presbiteri, Vescovi… e chi sono i soggetti della ricezione: ragazzi, adolescenti, giovani, vecchi, preti, Vescovi… Non tifo per la sociologia e non sono un patito per la psicologia ma certamente non possiamo farne a meno. Soprattutto non possiamo fare a meno della realtà, che purtroppo sembra troppo spesso assente dai ragionamenti teologici e pastorali se non come motivo d’accusa – è sempre colpa della società, delle famiglie, degli altri – e non come principio da cui partire e terreno su cui seminare (produrrà, quello stesso terreno, anche i suoi frutti). (…) Paolo, l’ebreo, il cristiano fa proprio questo: riceve e trasmette. Riceve una fede vissuta e trasmette una fede vissuta. C’è il tutto della tradizione: la fede, per definizione sempre uguale a se stessa, e la vita, per definizione sempre diversa di giorno in giorno, di generazione in generazione. Quest’alleanza dobbiamo recuperare. E non per questione di strategia o di sinergia. O almeno non solo per questo. Di generazione in generazione è il segreto della fede: si trasmette in casa. Si vive in piazza. In questo trasmettere dobbiamo poi mettere in conto il rischio del fallimento sempre in agguato e del tradimento sempre necessario: il primo mette alla prova l’apostolo, il secondo il discepolo. Ma ciascuno di noi è discepolo e apostolo: dunque ciascuno di noi sperimenta fallimento e tradimento. La crisi che tutti noi sperimentiamo non è motivo di ritirata anzi: dice della vitalità della Chiesa, della giovinezza perenne del Vangelo. Racconta della fiducia del Padre che apre ai figli strade sempre nuove di vita. E che, di generazione in generazione, non li lascia soli.

 

Don Michele Mosa