La Sacra Scrittura di domenica 30 gennaio

Il commento di don Michele Mosa. «Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi»

Ne abbiamo bisogno. Ci mancano e ci servono. Per noi stessi e soprattutto per le nostre Chiese. Desiderate intensamente, con tutto voi stessi. Desiderate e aspirate, cioè cercate, datevi da fare, non state con le mani in mano. Sono un dono ma non piovono dal cielo come i chicchi di grandine. Sto parlando dei CARISMI. Di quei doni particolari che sono dati da Dio per il bene della comunità e non a uso personale. Carisma è dunque, potremmo dire, il legame fra Dio e la Chiesa e questo legame passa attraverso di me. Anzi sono Io stesso. Ma se da una parte è bello e giusto cercarli, desiderarli, aspirare a doni sempre più grandi, è facile dall’altra farne un uso distorto: invece di essere strumento di servizio diventano mezzi di potere. Accadeva a Corinto. Accade nelle nostre comunità oggi. Il rimedio? «La via più sublime». Cioè: non abbassare l’asticella, al contrario alzala più che puoi. Del resto già il desiderare ci fa alzare lo sguardo, ci proietta fra le stelle. Desiderare è – almeno secondo me – il modo più bello per descrivere un uomo e una donna: chi vive in pienezza la sua umanità desidera e cerca ardentemente l’oggetto di quel desiderio. «Chi non desidera – scrive Enzo Bianchi – è un morto». Quindi alza il capo e desidera. Vivi l’ideale più grande. Più vero. Più sublime. Desidera l’amore. Che non è qualcosa. Non è neppure un sentimento. È Dio stesso, come ci ricorda Giovanni nella sua Prima Lettera (4, 8. 16). «Solo l’amore – dice Lidia Maggi – pone in essere il cristiano». Il carisma più grande non un dono di Dio ma, tutti lo comprendiamo, è Dio che si dona. E che ci insegna a donarci. Ecco la via regale per non metterci al centro del mondo. per non fare dei carismi un segno di potere ma una possibilità, concreta e realizzabile, di servizio. Non ci resta che desiderare il Carisma più grande. Non ci resta che imparare ad amare. «Dobbiamo imparare l’arte di amare. La impariamo attraverso la gioia che ci procuriamo a vicenda, attraverso l’esperienza del perdono della colpa e attraverso il miracolo continuamente sorprendente del nuovo inizio. Se finisce l’amore – scrive Luigi Nason – ci facciamo un’immagine fissa gli uni degli altri. Giudichiamo e stiliamo verdetti definitivi. Questa è la morte. invece l’amore libera da tali immagini e mantiene il futuro aperto davanti all’altro. Speriamo gli uni per gli atri e ci attendiamo così a vicenda. Questa è la vita».

 

Don Michele Mosa