La Sacra Scrittura di domenica 4 aprile, Santa Pasqua

Il commento di don Michele Mosa. «La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!»

Non vita inutile, non vita senza scopo né vita senza interessi: vita nascosta. Per essere precisi: “La vita nascosta con Cristo in Dio!”. Vita nascosta con Cristo: e il pensiero corre a Nazareth. Alla casa e alla bottega del falegname Giuseppe. Correre – il verbo per eccellenza della Pasqua – correre, sulle ali di Charles de Foucauld che proprio a Nazareth volle trascorrere tre anni vivendo come “operaio” presso il monastero delle Clarisse. Perché – come disse Papa Francesco – egli «forse come pochi altri, ha intuito la portata della spiritualità che emana da Nazareth». Una spiritualità fatta di “quotidiana normalità”: nel piccolo villaggio della Galilea, villaggio da cui «può forse venire qualcosa di buono» – come osservò Natanaele – Gesù trascorse le sue giornate come tutti i bambini: giocando e frequentando la bottega del padre Giuseppe, studiando la Torah e ascoltando i racconti degli anziani. Memoria e attualità che si intrecciano nello scorrere del tempo e plasmano l’animo del Figlio dell’uomo. Normalità di ogni uomo che diventa “nascondiglio” del Figlio di Dio: apocalisse che manifesta Dio avvolgendolo nella carne dell’uomo: Gesù Cristo, il “Deus absconditus”, il Dio nascosto. Nascosta non senza valore o significato; nascosta, cioè non evidente, non al centro. Senza particolare fascino e attrattiva: nessuno si accorgerà di lui e non per qualche giorno o qualche mese: Nazareth è trent’anni. Trent’anni nascosto e tre, solo tre camminando per le strade. Come dire: il tempo della preparazione è dieci volte quello della manifestazione. Anzi, trent’anni di Nazareth per preparare le poche ore – sei: dalle nove del mattino alle tre del pomeriggio – nelle quali fu il centro verso il quale tutto converge. Nazareth anticamera del Calvario. Pasqua, il trionfo della Pasqua, la vittoria della Pasqua è ancora una volta apocalisse, rivelazione cioè dell’importanza del nascondimento in Dio: ci vuole infatti il silenzio e il buio del Sabato Santo per vedere la luce della Domenica e del Risorto. Ma cosa può voler dire per noi: vivere nascosti in Dio dopo la risurrezione del Figlio unigenito? Credo ci ricordi una cosa fondamentale: io, tu; discepolo del Vangelo, uomo o donna non metterti al centro: al centro lascia Dio e il prossimo. Il centro, meglio, è Dio e il prossimo. Dio innanzitutto. Scriveva Charles de Foucauld: «Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per lui..». «La mia vita interiore è l’unione con Gesù nei differenti tempi della sua vita mortale (…)»: voli dell’anima, fantasie spirituali che tanto farebbero bene anche a noi, rivelate al padre Huvelin in una lettera del 1 febbraio 1898. Poi il prossimo. Vita della Chiesa e missione di ogni cristiano: la vicinanza all’uomo e la carità. Tu però non metterti mai al centro, lasci che sia Cristo al centro. Lascia che sia Cristo il centro. Forse andrebbero ripensati anche certi presbiteri che vedono la sede del presbitero presidente collocata al centro così che i fedeli guardano lui e non il Cristo. E siccome la Liturgia è “maestra di fede e di vita”, a lungo andare Gesù finisce – destino di sempre – ai margini e il clero al centro. «Non c’è niente di nuovo sotto il sole» – concluderebbe il saggio Qoelet.

 

Don Michele Mosa