La Sacra Scrittura di domenica 21 aprile

Il commento di don Michele Mosa. “Un solo gregge, un solo pastore”

Di Don Michele Mosa

 

Gregge: brutta, bruttissima metafora. Pecora: ancora di più. E siate seri: chi di voi vorrebbe essere definito/a una pecora? O, peggio ancora, un pecorone? O chi aspira a far parte di un gregge? E qui allora la prima riflessione, forse davvero rivoluzionaria se andiamo fino in fondo: a noi piace questa metafora – pecora e pastore, soprattutto perché sapendo cosa implica nella vita quotidiana, nella costruzione e nel cammino della Chiesa (delle nostre piccole comunità, gruppi, parrocchie) – ci sentiamo tutti e tutte in qualche modo pastore, cioè capi che decidono. Poi – altra bellissima siepe dietro cui nasconderci – diciamo che c’è un unico pastore, anzi Pastore: Gesù Cristo. Che in realtà però agisce attraverso di me! Senza buttare la metafora – non è necessario e neppure richiesto – dobbiamo cercare di capire le caratteristiche di questo gregge e delle pecore che di questo gregge fanno parte. Le pecore hanno un rapporto unico e personale con il Pastore: ne conoscono la voce. E il Pastore le chiama per nome. Spesso – ed è buona cosa naturalmente – noi insistiamo sul conoscere la Parola del Pastore: non basta. Le parole si possono leggere, studiare. Ascoltare da una registrazione o metterle nero su bianco in un libro. Questo è il rischio delle nostre catechesi: per bambini, giovani e adulti. Le pecore di Cristo conoscono le parole perché le ascoltano, per così dire, “in diretta”: conoscono la voce. Hanno un rapporto personale con Lui; il che non esclude il rapporto con la Chiesa e i “Piccoli pastori”: questi sono come la Samaritana: danno il la ma poi l’incontro è personale. E il recinto, l’ovile non basta più; rischia anzi di diventare luogo di morte. Io sono la Porta: cioè metto in comunicazione. Apro, chiudo. Difficile lavoro di discernimento che spesso noi evitiamo semplicemente montando una porta blindata: difende ma non lascia né entrare né uscire. Queste pecore non seguono il capo alla cieca. Lo conoscono di persona. Si fidano di lui. E allora – ma questo è un altro (bellissimo) discorso – noi più che piccoli pastori siamo i cani del Pastore: “Domini canes”, Domenicani. Ma su questo rifletteremo in altre occasioni.