La Sacra Scrittura di domenica 5 novembre

Il commento di don Michele Mosa. «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli»

E che Maestro, mi viene da dire. Il suo insegnamento lascia senza parole: «erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi»; apre strade mai percorse, e forse neppure immaginate, anzi immaginabili. (…) Gesù: Maestro che apre orizzonti, allevia fatiche e stanchezze e noi? Noi, presunti discepoli di questo Maestro, apriamo o soffochiamo? Portiamo aria nuova o continuiamo a far circolare la stessa aria, stantia e muffa? Noi, presunti suoi discepoli, curiamo le ferite dell’umanità o vi mettiamo sopra l’aceto? Siamo sale che dà sapore o che brucia ogni cosa? O forse siamo ancora più radicali: siamo andati a scuola – “catechismo”? – da lui ma, una volta diplomati – “cresimati” (e vale per tutti, me compreso) – abbiamo aperte le nostre scuole, dove c’è un SOLO maestro: IO. Un’ulteriore provocazione nasce in me: se il maestro è uno solo perché noi abbiamo così tanta preoccupazione di insegnare? Perché il catechismo, la catechesi meglio, si preoccupa della dottrina invece di aprire strade di discepolato? Lui, il Maestro, non frequentava aule e cattedre, non dava voti e non dava certificati di partecipazione (sacramenti a ricatto?); Lui accompagnava per strade, le strade della vita, e preferiva avere discepoli piuttosto che allievi e studenti. Non si tratta infatti di indottrinare ma di affascinare. Come ha ricordato Papa Francesco citando Papa Benedetto XVI: «la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione». È forse più questione di bellezza che di bontà, anche se in ebraico sono la stessa parola: tov. Questa è però solo la più superficiale delle riflessioni che vi propongo. La seconda è una domanda che più che risposte provoca in me altre domande: molte, forse troppe. La più immediata: perché fratelli e non studenti? In classe ci possono essere dei fratelli, ma per il maestro sono allievi. Anche se è il loro padre. Dunque, perché noi siamo fratelli e non soltanto studenti? Forse, e ripeto forse, perché fra studenti ci si misura sui risultati (…). Fratello, sorella sono parole che annullano distanze e gerarchie – o almeno così mi sembra dovrebbe essere. Confidava nella sua ultima intervista il Cardinal Martini: «Nella Chiesa nessuno è nostro oggetto, un caso o un paziente da curare, tanto meno i giovani. Perciò non ha senso sedere a tavolino e riflettere su come conquistarli o su come creare fiducia: deve essere un dono». Proprio come in famiglia: fratelli e sorelle non compagni di banco.

 

Don Michele Mosa