La Sacra Scrittura di domenica 28 agosto

Il commento di don Michele Mosa. «Voi invece vi siete accostati al monte Sion»

Il Sion, il monte su cui sorgeva il Tempio di Gerusalemme. Il Sion da non confondere con il Sinai, il monte del roveto ardente e della Torah. Il monte Sion che la tradizione religiosa rabbinica identifica con il monte Moria dove Abramo si recò per sacrificare il figlio Isacco (Gen 22) e i Padri della Chiesa identificarono il Calvario (cfr. Mc 15,22; Gv 19,17) dove Gesù sacrificò la sua vita. Nell’opera “Timore e tremore” il filosofo danese Soeren Kierkegaard parla del monte Moria-Sion come il monte della fede: l’ascesa alla vetta rappresenta il paradigma per eccellenza della vera esperienza di fede. Per spiegarlo ricorre a un’immagine tradizionale dell’Oriente: lo svezzamento del figlio: «Quando il bambino deve essere svezzato, la madre si tinge di nero il seno, perché sarebbe riprovevole che esso apparisse ancora delizioso quando il bambino non lo deve più avere. Così il bambino crede che il seno è mutato». Ma – continua il filosofo – «la madre è la stessa, e il suo sguardo è amoroso e tenero come sempre». E il dolore della separazione è esperienza comune; esperienza che dà inizio al viaggio del figlio nel mondo. E genera la madre. Il dolore è figlio e allo stesso tempo madre della libertà. Di un rapporto vero, di un rapporto che si esprime nella libertà non in un eterno stato di sudditanza: da quel giorno il cordone ombelicale esce di scena. Definitivamente. E il rapporto madre/padre-figlio/a è un rapporto che nasce da una decisione libera. Non c’è nessuna forma di dipendenza che lega i due. Nessun ricatto. Voi, noi viviamo così il rapporto con Dio? Ci siamo avvicinati, siamo saliti al monte Sion dove l’abbraccio del padre con i figli è un abbraccio cercato, voluto, desiderato o preferiamo il Sinai, il monte delle regole e delle rubriche dove l’abbraccio del padre ha il sapore del salario, del premio o del merito? Siamo sul monte dell’amore o su quello della paura?

 

Don Michele Mosa