La Sacra Scrittura di domenica 29 maggio

Il commento di don Michele Mosa. «Poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario…»

Il velo: rivelazione. Azione del coprire e dello scoprire, contemporaneamente. I due lati di un’unica medaglia. Velo: copro ma non al punto da impedire la vista. Nascondo pur lasciando tracce e indizi. Rivelare non è rendere evidente ogni cosa, non è offrire i documenti scientifici per rispondere a tutte le domande. Rivelare è aprire la via alla più grande manifestazione che però chiede di essere letta e interpretata: è la lingua dei segni. O se preferite la via degli “iniziati”. (Ricordate che il catechismo dei ragazzi, quello che tutti noi abbiamo fatto per la prima comunione e la cresima, si chiama catechesi dell’iniziazione cristiana). Il velo: indica la soglia del mistero. Oltre quel velo va, una volta l’anno, solo un uomo: un sacerdote che ha l’unico merito di essere stato scelto dalla sorte. Che cioè non ha merito. Non si oltrepassa la porta del mistero per meriti, il mistero non si conquista. È dono inaspettato. Spesso imprevisto. E improvviso. Eppure quel velo rimane estremamente familiare agli uomini e alle donne. Non è questione di fede, direi. È la vita. La quotidianità della vita. Quel velo, dice l’autore della Lettera agli Ebrei, è la carne. La carne di Cristo. La carne segnata dalla crocifissione. La carne consumata dal sepolcro. La carne che neppure la risurrezione ha annichilito. Il Verbo incarnato è carne per sempre. Dio si rivela nella carne. Nella carne si nasconde. Nella carne si fa incontrare. Non demonizziamo la carne: non è la sorgente né la causa di ogni male. Non è l’origine di ogni peccato. Penso al cammino spirituale di Teresa d’Avila. Antonio Sicari così lo sintetizza: «Al termine del suo cammino spirituale, se avessero chiesto a Teresa di parlare del più grave pericolo da lei corso, avrebbe ricordato non tanto i suoi peccati, quanto i giorni in cui aveva seguito quei falsi maestri che l’avevano convinta ad abbandonare la santa Umanità del suo Gesù (cf. V 22,1ss.), per elevarsi a una più alta contemplazione della Divinità». E conclude: «Oggi tutti riconoscono a Teresa il merito d’aver difeso l’assoluta necessità della mediazione della Santa Umanità di Gesù, in ogni fase del cammino spirituale». Quel velo, la carne di Cristo, ci impedisce di ritenerci oramai esperti di Dio e del suo mistero e allo stesso tempo di cadere in uno spiritualismo vuoto. Abbiamo bisogno della carne. Di quella del Figlio di Dio e della nostra.

 

Don Michele Mosa