La Sacra Scrittura di domenica 12 ottobre

Il commento di don Michele Mosa. “E gli disse: ‘Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!’ ”

 Di Don Michele Mosa

 

Dieci lebbrosi gridano, dieci vengono guariti, ma uno solo torna. E non è questione di educazione! Quel lebbroso ha capito che il miracolo non è la pelle nuova: è il cuore che si accende. Gli altri nove si accontentano del beneficio. Lui no. Torna, ringrazia, riconosce. E Gesù riconosce quel gesto e lo riconosce ad alta voce: «La tua fede ti ha salvato». Non “guarito”. Salvato. È la differenza tra vivere per stare bene e vivere per rinascere. Oggi molti chiedono guarigioni, fisiche o psicologiche o spirituali – penso ai corsi di yoga nelle più svariate forme (non c’è paese che non ne abbia uno) o ai corsi di mindfulness o di consapevolezza –, pochi cercano salvezza. Vogliamo un Dio che risolva problemi (tappabuchi l’avrebbe definito Bonhoeffer), non che cambi la vita. Preghiamo perché tutto torni come prima mentre il Vangelo ci invita a diventare altro. La guarigione restituisce la normalità; la salvezza la sovverte. La fede abitudinaria ci tiene tranquilli: andiamo a Messa, ripetiamo formule ma spesso senza stupore, senza rischio. È religione di routine, non di rinascita. Il lebbroso che torna rompe il copione, disobbedisce alla folla, si volta indietro. È l’immagine del credente non rassegnato, di chi non si accontenta del “si è sempre fatto così”. Forse Gesù oggi direbbe: «Non ne ho guariti dieci? E la Chiesa dov’è?». Troppi cristiani guariti ma non salvati, sani ma spenti, praticanti ma non vivi. La fede non serve a funzionare meglio: serve a essere trasformati. Chi ringrazia torna perché ha scoperto che Dio non guarisce soltanto le piaghe del corpo ma quelle dell’anima: l’indifferenza, la paura, la rassegnazione. E lì, dove finisce l’abitudine, comincia finalmente la fede.