La Sacra Scrittura di domenica 15 giugno

Il commento di don Michele Mosa. “Molte cose ho ancora da dirvi”

Di Don Michele Mosa

 

E noi che, chiusa la Bibbia, pensiamo che Dio taccia. Che non abbia più niente da dire. Che – per dirlo con la teologia apologetica – è finita con la morte dell’ultimo apostolo. E invece Cristo ha ancora molto da dirci.

Il problema allora non è Dio che non parla ma l’uomo che non ascolta. Che non sa ascoltare. Che non ha nessuna voglia di ascoltare quella Parola. Dio parla. Ma come spiegava il Cardinal Ratzinger “Generalmente Dio non parla troppo forte, ma ci parla spesso. Ascoltarlo dipende, com’è naturale, dal fatto che il ricettore – diciamo così – e l’emittente siano in sintonia. Ora, nei nostri tempi, con il nostro attuale stile di vita e con il nostro modo di pensare, ci sono troppe interferenze tra i due e sintonizzarsi riesce particolarmente difficile… È ovvio che Dio non parla troppo forte; ma nel corso di un’intera vita ci parla sicuramente attraverso segni o servendosi di incontri con altre persone. Basta semplicemente fare un po’ di attenzione e non consentire che le cose esterne ci assorbano completamente”. Ascoltare Dio è difficile perché chiede continuamente di convertirci, di uscire dal già conosciuto. Ascoltare Dio è rinnovarsi continuamente. È superare la logica dell’abbiamo sempre fatto così.

Dio che parla fa nuove tutte le cose. O, per rubare una bellissima espressione di Gregorio di Nissa, ascoltare Dio ci fa passare “di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine”. Non si tratta di capire. Né di sapere.

La Trinità non si impara sui banchi di scuola. La Trinità non è tanto una realtà da capire, ma piuttosto da vivere. Mentre la verità non è solo qualcosa da scoprire e un contenuto da possedere, ma piuttosto un come mi è detta e rivelata. Per entrare nella “verità tutta intera” sono necessarie delle relazioni autentiche. Non è tanto un cammino verso un concetto, ma piuttosto un percorso che porta verso qualcuno. Attenzione però: non importa arrivare primi. Forse non importa neppure arrivare al traguardo: non c’è nulla da vincere. Non c’è premio da conquistare. La Trinità, origine e meta del cammino, è prima di tutto nostalgia di comunione. Desiderio di relazione. È imparare ad amarci per lasciarci avvolgere dall’amore di Dio. Il bello del cammino è il compagno che cammina con te. è l’amica che ti sta accanto. E se la festa della Trinità avesse soltanto il compito di tenere viva questa nostalgia? Di alimentare questo desiderio? Conserviamo in cuore la nostalgia della pienezza della comunione con Dio e dell’unione con gli altri. Oso pensare che questo sia proprio il paradiso!