Di Don Michele Mosa
Nella relazione fra passato e presente (ma evidentemente coinvolge anche il futuro) la memoria non è il ricordo. E, a mio parere, ricordare è molto più che fare memoria. Un solo esempio per intenderci: imparare un testo a memoria non è ricordarlo. Cerco di spiegarmi. Imparare a memoria è questione di testa, ricordare è invece questione di cuore. La memoria è questione di archivi e di libri, ha l’odore della scuola. Porta con sé registri e voti. Il ricordo d’altra parte è evocazione di atmosfere, sono volti che affacciano e voci che si risentono: le parole si imparano a memoria, il timbro della voce è inciso nel cuore. Per questo non basta ascoltare. Non basta avere memoria.
Per questo bisogna custodire nel cuore, ricordare appunto. Come Maria che custodiva nel cuore e “rimetteva insieme”, cercava di ricomporre il mosaico del disegno del Padre seguendo le sue tracce nella vita di ogni giorno. Ricordare allora apre al discernimento. Lega cioè il passato al futuro. Diceva Papa Francesco: «Un cristiano senza memoria non è un vero cristiano: è un uomo o una donna che (è) prigioniero della congiuntura, del momento; non ha storia. Ne ha, ma non sa come prendere la storia. È proprio lo Spirito che gli insegna come prendere la storia. La memoria della storia… Quando nella Lettera agli Ebrei, l’autore dice: ‘Ricordate i vostri padri nella fede’ – memoria; ‘ricordate i primi giorni della vostra fede, come siete stati coraggiosi’ – memoria. Memoria della nostra vita, della nostra storia, memoria dal momento che abbiamo avuto la grazia di incontrare Gesù; memoria di tutto quello che Gesù ci ha detto».
Lo Spirito Santo, il grande dimenticato, per non dire il grande escluso. Colui che arriva sempre a giochi chiusi. Prima pensiamo, discutiamo, progettiamo, poi, quando tutto volge al termine, anzi a riunione finita, invochiamo lo Spirito Santo. Stampella delle nostre decisioni. (Anche quando fingiamo di invocarlo con una bella preghierina all’inizio, diciamoci la verità). Eppure, oggi non abbiamo che Lui. Lui è l’anima della Chiesa, dalla liturgia alla pastorale. Lui è il Maestro – vi insegnerà ogni cosa – e riaccenderà i cuori ricordando non solo le parole ma soprattutto il csuono della voce, legame sottile e incredibilmente forte delle pecore con il pastore. Le parole le conosciamo. A memoria. Quel che non conosciamo – e parlo soprattutto per me – è il timbro della voce. Abbiamo bisogno di invocare lo Spirito. Per imparare a riconoscere la voce di Dio. E per non trasformare la voce del Padre nella voce del Padrone.