Di Don Michele Mosa
Il sepolcro è aperto ma le porte sono chiuse. Il crocifisso è risorto e i suoi discepoli sono prigionieri della morte. È spuntata l’alba del primo giorno della settimana ma noi non ce ne siamo ancora accorti. Siamo corsi al sepolcro, abbiamo osservato tutto con attenzione. Poi siamo tornati a casa. Perplessi. Anzi pieni di paura. Lo stupore non si è trasformato in gioia. Non è riuscito a rompere il guscio e le porte si sono chiuse dietro di noi. Lui è Risorto e ci precede in Galilea. Noi siamo chiusi a chiave in una stanza a Gerusalemme. A porte chiuse. Forse qualcuno avrà pensato come me al celebre dramma di Sartre: è il dramma nel quale si pronuncia quella terribile frase che tutti conosciamo: “l’inferno sono gli altri”. Quindi, se vuoi abitare in paradiso sta da soli. Lascia gli altri fuori dalla porta. Poi invece ti accorgi che rintanato in casa tua sei davvero all’inferno. Il problema vero è quello che si pongono le donne che vanno al sepolcro: chi ci rotolerà via il masso? Chi ci farà entrare? Che poi, sorpresa, diventa: chi l’ha fatto uscire? A porte chiuse è, lasciatemelo dire, un passo avanti, un passo in più: non bisogna neppure più aprire (sfondare) le porte: il Risorto entra anche a porte chiuse. Entra nelle tue paure. Entra nelle tue perplessità. Nei tuoi dubbi. Entra senza puntare il dito, senza accusarti, senza il “te l’avevo detto”: entra e ancora una volta ti prende per mano e cammina con te. Tommaso guarda, tocca… Le porte chiuse non bastano a fermare lo Spirito: ricordate il popolo ebraico nel deserto e lo Spirito che prende possesso anche dei due anziani rimasti nella loro tenda? Il sepolcro è aperto. Ora tocca a noi aprire le porte: del cuore, certo ma anche delle nostre chiese e dei nostri gruppi. Gli altri non sono il nostro inferno sono il giardino di Dio. Basta con le paure! Basta giocare in difesa! Il Vangelo è annuncio. E soprattutto felicità. A porte chiuse significa anche tristezza. Questo è il vero inferno.