Di Don Michele Mosa
Scrivere: gesto impegnativo. Ti obbliga a riflettere. La bocca si apre spesso come riflesso incondizionato: pensi a mangiare non ad aprire la bocca (è ai bambini che fai il gioco dell’aeroplano per fargli aprire bocca, quando non vogliono mangiare), cerchi le parole da dire non ti preoccupi di aprire la bocca. Scrivere invece è collegato a filo rosso con il cervello: scrivi e pensi. Scrivi perché pensi. Pensi dunque scrivi. Mi piace allora vedere nel Gesù che si china e scrive sulla sabbia, il Maestro che pensa e che invita, quasi costringe, a pensare anche gli scribi e i farisei presenti. Per non dire della folla, sempre assetata di tutto e subito, allergica alla riflessione. Scrive Gesù. Scrive con il dito. In quel gesto allora non c’è solo l’uomo he pensa – il Gesù “filosofo”, “saggio” –, c’è anche il richiamo a Dio: solo Dio infatti scrive con il dito. Lo fa scrivendo la Legge sulle tavole di Pietro consegnate a Mosè, lo fa sul muro del palazzo di re Baldassar a Babilonia. Cosa succede, possiamo chiederci dunque, quando scrive Dio? Succede che quel dito tracciando lettere sulla pietra, sull’intonaco o sulla sabbia vada molto più in profondità: scrive nelle coscienze, le scuote, le mette a nudo: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E il suo dito riprende a scrivere per terra provocando un gesto di inaspettata consapevolezza: «quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani». Il dito di Gesù che scrive apre all’incontro fra la “miseria e la misericordia”, come dice Agostino. Fra il nostro peccato e il Padre che perdona. Scoprirsi peccatori non è condanna preannunciata, è il primo passo per tornare a casa. È l’inizio del nostro cammino di conversione. Gesù non è il Dio che batte una mano sulla spalla e ti dice: “Vai tranquilla, non è successo niente. La colpa è della infanzia difficile, di un raptus”; oppure: “Un’altra volta fatti furba, valuta meglio le situazioni, controlla se ci sono telecamere in giro”. Un finale così non è misericordia ma buonismo, cioè la maschera della bontà e della misericordia, che allarga le maglie della irresponsabilità e della incoscienza. Gesù è misericordioso con il peccatore, ma condanna il peccato. E questo è ciò che chiede a noi: condannare il peccato, portare in salvo il peccatore. Sapendo per altro che il primo peccatore salvato sono proprio io.