La Sacra Scrittura di domenica 23 febbraio

Il commento di don Michele Mosa. “Quale gratitudine vi è dovuta?”

Di Don Michele Mosa

 

Un elefante in un negozio di cristalli: spesso è questa la sensazione che provo aprendo i vangeli. Proposta improponibile: bisogna leggere quelle parole premettendo un “si fa per dire”. Tranne poi accorgersi che quelle parole sono uno spartiacque: da una parte i discepoli – o almeno chi ci prova – dall’altra chi sceglie da solo la propria strada. Per non cadere nella trappola del fraintendimento ci vuole tanto Spirito. ci vuole l’esercizio costante dell’ascolto e del discernimento. Gesù non ci propone la rassegnazione di fronte alla prepotenza e alla violenza; ci invita a trovare una risposta diversa: starei per dire, anche se qualcuno storcerà il naso, la strada della non violenza che non è subire l’ingiustizia in silenzio ma è riscoprire la mitezza. La creatività del dialogo. l’invito a superare le vecchie categorie della reciprocità, del “do ut des: io ti do a condizione che tu mi dia”. Un criterio vecchio (e poco evangelico): la logica del secondo fine. Se fate… quale gratitudine vi è dovuta? Anche se, in realtà, non dovremmo fare per avere la gratitudine di qualcuno o il premio di Dio. L’amore basta a se stesso, o no? Ricordate i monaci di Tibhirine, in Algeria? Furono assassinati il 21 maggio 1996. Dopo il loro “martirio” una donna musulmana scrisse a Mons. Teissier, Vescovo di Algeri: “Dopo la tragedia e il ‘sacrificio’ vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli, perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte. Volevo dire loro il messaggio di amore per Dio e per gli uomini. La solidarietà umana e l’amore dell’altro è un itinerario che va fino al sacrificio, fino al riposo eterno, fino in fondo. Io e i miei figli siamo molto toccati da una così grande umiltà, un così grande cuore, dalla pace dell’anima e dal perdono. Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i “semi” affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi. La chiesa cristiana con la sua presenza tra noi continui a costruire con noi l’Algeria della libertà delle fedi e delle differenze, l’universale e l’umanità. Sarà un bel mazzo di fiori per noi e una grande opportunità per tutti e tutte. Grazie alla chiesa di essere presente in mezzo a noi oggi. Grazie a voi monaci per il vostro grande cuore; continui a battere per noi, sempre presente, sempre tra noi. E ora riposino in pace, a casa loro, in Algeria”. (Orano, 1° giugno 1996)