La Sacra Scrittura di domenica 5 maggio

"La qualità e insuperabilità dell’amore di Gesù, che giunge a dare la vita per i propri amici"

La sesta domenica di Pasqua propone il seguito del discorso di Gesù sulla vite e i tralci presentato nella domenica precedente. Siamo ancora nel cap. 15 del Vangelo secondo Giovanni, nel contesto dei discorsi d’addio con cui Gesù prepara i suoi agli eventi drammatici della Passione e alla loro vita futura senza la sua presenza fisica. La sottolineatura della reciprocità tra Gesù, Padre e discepoli e l’invito a “rimanere” (mèno) in tale reciprocità sono ribaditi anche nei vv. 9-11 di questa seconda parte del capitolo, così come l’idea del portare frutto, qui con una maggiore dimensione missionaria (cfr. v. 16).

I vv.  12-17, però, invitano i destinatari a un passo ulteriore, perché fa il suo ingresso nel discorso il comandamento dell’amore (si noti la circolarità tra i vv. 12 e 17). (…) Il lessico dell’amore (agàpe, agapào) riempie i versetti seguenti, scandendo la qualità e insuperabilità dell’amore di Gesù, che giunge a dare la vita per i propri amici. E anche le relazioni, così, vengono ridefinite, perché egli ricorda ai suoi di averli eletti come amici: non ne ha fatto dei servi (doùloi), ma dei phìloi, amici con i quali ha condiviso la sua ricerca di senso e le ragioni del suo agire e tutto ciò ha udito dal Padre suo (v.15).

Un Dio che sceglie l’uomo come amico è stato già la grande rivelazione del Primo Testamento: un Dio che chiama Abramo “amico mio” (Is 41,8; cfr. anche 2Cr 20,7; Dn 3,35 e, nel Nuovo Testamento, Gc 2,23) e che parla con Mosè «faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico.» (Es 33,1). Non a caso la Dei Verbum sceglie questa immagine (e non quella più tradizionale, ma certamente più asimmetrica, della relazione filiale) per esprimere il fine della rivelazione divina. (…)

I discepoli di Gesù (non solo i dodici, si intenda bene, ma ciascuno/a di coloro che erano radunati attorno a Gesù e ciascuno/a di noi oggi) non sono trattati da schiavi, soggetti ai capricci di un padrone, ma prescelti (v. 16a), trattati da pari, amati incondizionatamente e “costituti” per una missione feconda (v. 16cd), cioè riconosciuti capaci di reciprocità, responsabilità, autodonazione. Se l’elezione è gratuita e incondizionata, l’adesione volontaria a questa scelta può e deve tradursi nell’impegno della sequela, dove si può dare fecondità alla missione e offrire occasione di riscatto anche all’amore che è stato finora respinto, tradito o rinnegato.

                                           Annalisa Guida (Agensir)