Celebriamo domenica 1° giugno la solennità dell’Ascensione, anche se liturgicamente si sarebbe dovuta celebrare giovedì scorso, cioè esattamente 40 giorni dopo la risurrezione di Gesù.
Tutto ha avuto inizio con una pietra rotolata via dal sepolcro, di fronte alla quale prima le donne e poi alcuni discepoli, dopo un momento di smarrimento, cominciano a correre per annunciare che Gesù è vivo, è risorto (domenica di Pasqua). Un fatto di tale portata che non è sempre facile comprendere/credere, come ha dimostrato la fatica dell’apostolo Tommaso (II domenica di Pasqua), e quella dei discepoli che tornano a pescare (III domenica).
Proprio perché non sempre siamo capaci di percorrere la Via indicata, Gesù stesso si è fatto nostra Guida e nostro Pastore, prendendoci per mano, custodendoci tra le sue mani (IV domenica), fino a mettere nelle nostre mani, seppur fragili, il suo stesso amore, come cartina di tornasole per essere riconosciuti cristiani (V domenica).
Un comandamento, quello dell’amore, che prima di tutto è un dono del Signore rafforzato dalla promessa che saremo rivestiti dall’alto, dallo Spirito Santo, colui che diverrà nostro Maestro interiore e Consigliere ammirabile (VI domenica).
Se notiamo, il Signore in queste domeniche ci ha preparati alla vita, perché la potessimo vivere da discepoli del Risorto, assicurandoci di restare sempre con noi, Lui che è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Sempre. “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 18,20). (…)
Il vangelo inizia presentandoci l’incontro tra Gesù ri- sorto e i suoi discepoli, aiutandoli a far memoria di quanto aveva loro detto: “Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati…”.
In questo modo Gesù fa capire (…) che l’esperienza vissuta con Gesù è il fulcro dell’annuncio, infatti aggiunge loro: “Di questo voi siete testimoni”.
Per questo fa ai discepoli una promessa: “Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso…”. I discepoli sono dunque degli “inviati”, non in virtù delle loro forze, ma perché – continua il testo del Vangelo – “Rivestiti di potenza dall’alto”.
E con questa promessa Gesù, innanzi ai discepoli, sale al cielo: “Li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo (cfr 2Re 2,1-14). Ed essi si prostrarono davanti a lui”.
Potremmo quasi dire che con l’Ascensione Gesù ha concluso il suo Esodo ed è tornato alla Casa del Padre (…).
Vivere fissando il cielo significa avere il Cielo come Meta e Gesù come Maestro, perché è il solo che ha tracciato la Via per salirvi.
Guardare al Cielo significa lasciarsi orientare dalle cose di Dio. Vivere fissando le stelle del cielo significa ricordarsi che Dio è Padre e fa ogni cosa con amore. Significa che la nostra vita è un puntino di fronte l’immensità del creato, eppure siamo fatti poco meno degli angeli! Significa comprendere che al di là di quanto viviamo, siamo fatti per il Cielo! Saremo deboli, fragili, traditori o rinnegatori, peccatori… ma nessuno ci toglie che siamo fatti per il cielo! Questo siamo chiamati a portare agli altri: qui, oggi siamo chiamati a far risplendere quei cieli nuovi e terra nuova che Gesù ha inaugurato e oggi affidato alle nostre mani. Farlo dentro questa vita concreta, reale: “Voi restate in città”, dice Gesù nel vangelo (v. 49b). La vita quotidiana chiede di farsi tempio affin- ché ciascuno, nel rispetto della vocazione ricevuta, possa divenire segno, scheggia di Dio dentro la fa- miglia, il lavoro, il tempo libero.
Ogni nostra azione è e sempre sarà accompagnata dalla benedizione di Dio: “Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (v 51). Quest’azione è continua, non si ferma mai.
Il Signore ci accompagna con la sua benedizione, e noi siamo chiamati a divenire benedizione per gli altri. Allora comprenderemo ancora di più il nostro ritrovarci alla domenica attorno all’Eucaristia, quando ci ritroviamo insieme per narrare quanto Dio ha com- piuto tra noi durante la settimana; quanto noi, pur- troppo, siamo stati di ostacolo a Dio… e qui chiediamo perdono.
Ci poniamo così ancora una volta in ascolto della Parola, affinché il Signore faccia luce in noi, per poi partecipare alla sua unica offerta, nel pane e nel vino che diventano corpo-sangue, cibo per il cammino verso il Cielo.
E così, forti di questo Avvenimento così antico e così nuovo, partire, andare… La Messa è finita: non perché tutto si conclude, ma perché tutto ha inizio: andate, ha inizio la missione.
Ha inizio il compito di portare agli altri raggi di luce e di speranza, di pace e di serenità forti del fatto che siamo “rivestiti dall’alto” (v. 49). E allora, occhi verso il cielo e piedi ben radicati a terra, per amare in terra come Gesù ci ha amati.
(da “cercoiltuovolto.it”)