“La corruzione, male endemico della società civile?”

Le riflessioni del Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

“Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?”. Così Cicerone, apostrofando Catilina, si
scagliava con veemenza intellettuale contro la corruzione, in allora dilagante nella Roma antica. I
tempi sono cambiati, ma il male è rimasto, quale un’endemia del sistema. La corruzione, in chiave metaforica, è creatura assai insidiosa, capace di camuffarsi e cambiare forme, rimanendo però immutata nella sostanza, al pari della frode, rappresentata nella Divina Commedia dal demone Gerione, bel giovane, che però tiene nascosta una coda di scorpione. Il fenomeno collusivo non è solo un crimine, ma è prima di tutto un fatto di ordine etico e morale. L’aver previsto prima il reato di concussione del pubblico ufficiale e poi, con la nota legge n. 190/2012 (c.d. riforma Severino), lo “spacchettamento” della condotta di costrizione e induzione e l’autonoma configurabilità del delitto di cui all’art. 319 quater del codice penale non ha ancora, ad oggi, risolto il problema, rimanendo il male non estirpato e forse anzi accentuato, con il nefasto evento della pandemia di Covid – 19 e della relativa gravissima crisi dell’economia mondiale. Poichè spesso un illecito ne porta con sé, a monte o a valle, degli altri, così il fenomeno collusivo si accompagna a reati di stampo mafioso, oppure a reati economici. Il nesso tra associazione mafiosa e corruzione è particolarmente stretto, poiché la collusione con vertici politici e amministrativi è la via preferenziale della moderna forma di criminalità organizzata, al punto che talvolta da indagini compiute su determinati boss emergono connessioni con il tessuto politico e amministrativo della società civile. Un aspetto specifico assai pernicioso del fenomeno si declina con riferimento alla sanità e agli appalti pubblici. Nonostante varie riforme tese a responsabilizzare gli amministratori locali e quelli delle strutture sanitarie, il
male ancora permane. Il discorso non è tanto tecnico, quanto etico e comportamentale, come
accennato. Se infatti non vi fossero leggi poste a disciplinare e sanzionare duramente la corruzione, il dilagare della stessa sarebbe ben comprensibile. Il fatto è che, invece, nel nostro Paese le leggi ad hoc vi sono – il riferimento è in particolare alla l. 190/2012, alle varie norme in tema di conflitto di interesse, come l’art. 6 bis della l. 241/1990 e l’art. 42 del d.lgs. 50/2016 (ora maggiormente ampliato nel d.lgs. 36/2023), al d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia), alle norme del d.lgs. 267/2000 che sanzionano duramente gli amministratori locali rei di corruzione o che abbiano arrecato danni all’ente con l’incandidabilità per dieci anni, agli articoli del codice penale che vanno dal 317 (concussione) al 319 quater (induzione a dare o promettere indebita utilità), nonché, last but not least – poiché lo Stato di diritto si manifesta in primo luogo perché trasparente (cfr. N.Bobbio) – il d.lgs. 33/2013. A nulla tuttavia esse sembrano valere, palesandosi, per usare una classificazione romanistica, come “leges minus quam perfectae”, ossia come leggi che, ancorchè formalmente tali, difettano del fondamentale requisito dell’effettività. Il segno sembra proprio non volersi invertire e prova ne è una discutibile disposizione del nuovo codice degli appalti pubblici, approvato con il d.lgs. 36/2023, secondo cui “le pubbliche amministrazioni possono ricevere per donazione beni o prestazioni rispondenti all’interesse pubblico senza obbligo di gara. Restano ferme le disposizioni del codice civile in materia di forma, revocazione e azione di riduzione delle donazioni.” (art. 8 comma 3)
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A fronte di tali plurimi insuccessi del legislatore, si deve pensare a una via alternativa, che non può essere solamente quella della legificazione, ma deve tradursi in primo luogo in un mutamento della coscienza collettiva, della società civile. Non a caso il filosofo Hegel, nella propria maggiore opera, la “Fenomenologia dello Spirito”, inizia trattando della coscienza individuale come fondamento di quella collettiva ed esse due a fondamento, a loro volta, dello Stato. Ecco allora che solo una coscienza individuale pura, onesta e moralmente ineccepibile può contribuire a un mutamento del sentire collettivo e, congiuntamente, al miglioramento della società civile e dello Stato, che – lo si deve sempre ricordare – non è solo “Stato apparato”, ma anche e prima di tutto, come è noto tra gli studiosi di diritto pubblico, “Stato comunità”. Parlare della corruzione implica una riflessione anche sul cattivo andamento dell’economia nazionale, non certo casuale, ma perdurante da quasi vent’anni e drammaticamente resosi vertiginoso con la pandemia di Covid – 19 e con la guerra in Ucraina. In genere si pensa che l’economia sia frutto di numeri e di calcoli, ma nulla vi è di più falso. Semmai l’economia risponde a un’esigenza di giustizia distributiva (Aristotele) e in definitiva a una questione morale (A.Sen, L’idea di giustizia). Così, se il denaro pubblico, frutto dei sacrifici dei cittadini, viene gestito male, magari dolosamente e in rispondenza a fini del tutto slegati dal perseguimento dell’interesse pubblico, inevitabile è l’ombra preoccupante delle associazioni di stampo mafioso e di fenomeni come usura, evasione fiscale, furti, rapine e così via. Il dato forse più preoccupante del contesto contemporaneo è forse però la consapevolezza che la corruzione non è più un fatto solo italiano, magari relegato a una specifica area geografica. Il tema si riconnette a quello della trasparenza e a quello del ruolo del giudice contabile e amministrativo. La Costituzione, infatti, già prescrivendo all’art. 97 i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, poneva un precetto direttamente applicabile. Così emerge il ruolo della Corte dei Conti, organo giurisdizionale e consultivo (art. 100 Cost.) deputato alla salvaguardia dei conti non solo dello Stato, ma anche del complesso degli enti pubblici. Il fatto, in particolare, che il Sommo Giudice Contabile debba fungere da guardiano anche dei conti degli enti locali e delle ASL, e in generale di tutti gli enti pubblici anche non statali, comprova come lo Stato sia prima di tutto “Stato – comunità” e solo in un secondo momento “Stato – apparato” e come dunque il problema della corruzione di un piccolo paese del sud Italia sia questione che deve interessare tutto lo Stato, alla luce della natura contaminante del fenomeno collusivo, espressione del male per antonomasia. I casi del “Quatar gate” e l’”impeachment” dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, oltre alle indagini in corso da parte della Corte dei Conti tedesca sui dati dichiarati dal cancelliere Scholz, destano unanime preoccupazione, nonostante la Commissione Europea abbia prontamente presentato una “Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione mediante il diritto penale”, imponendo agli Stati membri un inasprimento delle sanzioni penali. Come fare sì allora che l’Europa, patria della democrazia (il riferimento è in particolare agli esempi di Leonida e Spartaco), non perda il proprio ruolo, la propria immagine e, in definitiva, la propria identità? Probabilmente tornando a un passato non troppo lontano, dove si studiava in modo approfondito la filosofia e la si metteva in pratica, dove si praticavano l’azione morale e la giustizia sostanziale, dove le Istituzioni erano coese e non si faceva questione di destra o di sinistra, tutti essendo concentrati verso il comune obiettivo del Bene del Paese.
Bisogna allora forse tornare a Platone e Cicerone, due pensatori che sulla tematica della corruzione, morale e politica, hanno scritto. Bisogna, forse, ricordare il precetto kantiano: “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. Ecco allora che la cultura occidentale, culla della democrazia, è proprio l’antitesi della corruzione, che invece presuppone una diseguaglianza sostanziale di fronte alla legge, o, per meglio dire, al diritto. Se allora l’occidente è detentore di quel valore chiamato “civiltà”, ne consegue che solo ripensando alle lotte per la democrazia, sin dall’antichità classica, non si può non esserne innamorati, come pure non si può non essere innamorati dei suoi addentellati: in termini greci, “aidos” (pudore) e “dike” (giustizia), i due doni che Zeus diede ai mortali. La cultura occidentale, tutto sommato, già agli inizi del 900’ ha percepito l’esigenza di rideterminarsi. Ecco dunque il tema del ripensamento, tema trasversale di tutta la filosofia postmoderna, da Wittegstein a Derrida, ma già, tempo prima, con Nietszche. Restano di grande attualità le parole di un Insigne Presidente della Repubblica, Sandro Pertini: “Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo”.

 

Dott. Gustavo Cioppa, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e
Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia