“Le Sante Spine: un segno di passione e di speranza”

L'editoriale del Vescovo di Pavia, Mons. Corrado Sanguineti, pubblicato su "il Ticino" di venerdì 6 giugno

Di  Mons. Corrado Sanguineti  (Vescovo di Pavia)

 

La città e la Chiesa di Pavia custodiscono da secoli le Sante Spine nel nostro Duomo e nei prossimi giorni saranno esposte alla venerazione dei fedeli e saranno portate in processione per le vie del centro. Ma dicono ancora qualcosa queste reliquie della passione di Gesù? Di che cosa possono essere segno nel nostro presente? Perché solo se racchiudono un messaggio che in qualche modo può parlare a tutti, ha senso portarle in processione, anche se non ci sono più le folle di un tempo e magari attraversano le vie nell’indifferenza di molti.

Sono convinto che vivere la festa delle Sante Spine, venire in Duomo a guardare questo segno e a pregare di fronte ad esso, camminare con le Sante Spine per alcune vie della nostra città non è “archeologia” religiosa, né è soltanto mantenere una tradizione che appartiene alla storia di Pavia e della nostra Chiesa. È un richiamo, è un segno perché le Spine che hanno trafitto il capo di Gesù ci rimandano innanzitutto alla sua passione, alla sofferenza patita da un uomo giusto e innocente.

Se non tutti riconoscono in Gesù il Figlio di Dio fatto uomo, tutti possono vedere in lui il volto di un uomo immerso nel dolore, oggetto della follia crudele della violenza, un uomo mite che a un potere ingiusto e senza scrupoli, alla forza della menzogna oppone solo un silenzio dignitoso, la disponibilità a soffrire, pur di restare fedele alla sua coscienza e alla sua missione, la forza disarmata e disarmante dell’amore e del perdono.

Allora le Sante Spine diventano un segno di tutte le vittime innocenti della storia, un richiamo a saper vedere i tanti, troppi fratelli uomini che oggi soffrono morte e violenza, fame e ingiustizia, sacrificati alla logica inumana del potere. Così, nel segno delle Sante Spine, possiamo e dobbiamo riconoscere la tragedia che sta colpendo popoli interi, inermi e alla mercé di chi non ha altro linguaggio che quello della sopraffazione e dell’odio: il popolo ucraino, bersaglio di bombardamenti e attacchi che seminano distruzione e morte; il popolo palestinese di Gaza e della Cisgiordania, oggetto di un’operazione ingiustificabile di vera “pulizia etnica” da parte del governo d’Israele, che sempre più si manifesta nemico del vero bene dello stesso popolo ebraico, e vittima e ostaggio della follia omicida di Hamas; il popolo di Haiti, che nel silenzio e nell’indifferenza del mondo, è ostaggio della violenza di gang criminali e sembra non vedere un futuro di fronte a sé. E poi altri popoli, dimenticati qui da noi, che sperimentano interminabili conflitti interni – nel Sudan e nel Sud Sudan, nel Burkina Faso, nel Congo, solo per citare alcune nazioni – o sono vittime di dissennato sfruttamento e di un’economia che uccide e devasta la terra.

Venerando le Sante Spine, offrendole allo sguardo di tutti, anche di chi si gira dall’altra parte, mentre esprimiamo la nostra fede in Gesù, uomo dei dolori e Dio crocifisso con noi e per noi, vogliamo sentire il grido di questi popoli, lasciarci inquietare dal loro dolore, trasformarlo in preghiera a Dio, in compassione vissuta, in impegno per la pace, per una cultura di pace e di fraternità, iniziando dalle relazioni che viviamo, dalle responsabilità che abbiamo, non rassegnandoci al silenzio complice dell’inumana logica della guerra e del predominio a tutti i costi.

 

“L’amore, unica forza che può opporsi al dilagare del male”

 

Le Sante Spine non sono solo il segno del dolore patito dagli innocenti che rivivono il destino di Cristo nella loro carne, sono anche il segno dell’unica forza che può opporsi al dilagare del male: l’amore, che nella sua mite fermezza, contrasta il prevalere dell’odio, che alle ragioni del potere risponde con l’umile testimonianza del bene, che non si stanca di sperare contro ogni speranza.

Nonostante tutte le apparenze, i veri protagonisti della storia sono gli uomini e le donne che sanno amare e perdonare, che con pazienza tessono relazioni di fraternità, che si fanno testimoni della logica nuova della gratuità, coloro che, in mezzo al turbinio dell’odio irrazionale e delle cieche passioni, affermano un modo più autentico e più costruttivo di vivere e di agire.

È questo amore che apre cammini di ricostruzione e di speranza anche nelle macerie della morte, nella desolazione della fame, nello squallore della miseria: è per questo amore, che Cristo vive e incarna, che l’ultima parola sulla sua vicenda non è la morte, ma la vita e la risurrezione.

Le Sante Spine diventano così un segno di speranza, perché l’Innocente incoronato di spine, che sembra uno dei tanti sconfitti della storia, custodisce in sé il segreto della vita: l’amore che si fa dono, che non si arrende, che non cede all’attrattiva del potere, del successo facile, dell’immagine accattivante.

La risurrezione è già anticipata nella fedeltà di chi ama fino alla fine e tutti noi diventiamo testimoni di risurrezione e di speranza, accettando di vivere la forza mite e disarmata dell’amore, che sa farsi anche grido per gli oppressi del mondo, che non si chiude nel suo piccolo orto, disinteressandosi delle tragedie e delle sofferenze degli uomini e delle donne, fratelli e sorelle in umanità.

Venerare e portare in processione le Sante Spine è accogliere la chiamata a restare uomini umani, capaci di compassione, che non si arrendono alla follia della violenza, in ogni forma, che cercano di costruire cammini di pace e di speranza, anche e soprattutto nelle ore più buie dell’umanità: “Prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani” (Leone XIV, “Udienza generale”, mercoledì 28 maggio 2025).