“Pavia deve sentirsi sempre più coinvolta nei problemi del carcere di Torre del Gallo”

Intervista alla direttrice Stefania Mussio. “Tanti progetti avviati, ma serve un legame con le imprese”

Proponiamo anche sul sito www.ilticino.it l’intervista di Bruno Contigiani a Stefania Mussio, direttrice del carcere di Torre del Gallo a Pavia, pubblicata sul settimanale “il Ticino”.

 

 

       Di Bruno Contigiani

 

Quando incontri Stefania Mussio la direttrice della Casa Circondariale Torre del Gallo di Pavia, nel giro di poco ti trovi in compagnia di un grande di questa città: il Professor Vittorio Grevi, il giurista che tanto ha dato al diritto italiano al quale tutti dobbiamo il nuovo Codice di Procedura Penale. Proprio da qui, con una tesi su questa procedura parte la scelta di Stefania per arrivare a occuparsi di carceri. Indecisa dopo la laurea se tentare la carriera di magistrato, per arrivare a essere giudice o occuparsi dell’applicazione della legge nel suo stadio terminale ha lasciato scegliere al destino e ora si trova a dirigere una struttura non certo semplice come una casa circondariale con oltre 650 detenuti. E’ forse più breve elencare nel suo curriculum le carceri della Lombardia che non ha diretto che quelle in cui ha operato, tra massima sicurezza, case circondariali e istituti di pena, con reparti femminili e non. Stefania Mussio si aggiunge al lungo elenco di donne che praticano questa attività portata alla cronaca da Stefania Misere, funzionaria in diversi istituti di pena, morta suicida, alla cui vita sono stati dedicati alcuni libri e un film.

Quando le chiedo come mai tante donne, in una professione apparentemente immaginata per il cosiddetto sesso forte, senza esitare mi risponde con ironia: “Perché, molto banalmente, siamo più brave”.  Iniziata con una visita a Porto Azzurro e successivamente alla Colonia Agricola di Pianosa, non si può dire che il cambiamento non faccia parte della sua carriera.  Ama per scelta la desinenza in “ice” in un’epoca in cui ancora si discute se una donna debba continuare a utilizzare il maschile per definire la propria professione. E cambiare le strutture è il primo compito a cui si è dedicata in una situazione “molto carente da questo punto vista a Pavia”.

 

Portatrice di speranza: una dirigente umana

 

La bussola che la guida è molto semplice, una direttrice in questi luoghi deve essere portatrice di speranza, una dirigente umana, che assieme alla polizia penitenziaria, agli educatori (anche in questo caso dovremmo usare il femminile) al cappellano e alla parte amministrativa, si occupa della vita di tante persone. Non sono stati certo in discesa il suo approccio e la sua attività iniziale, in buona parte dedicati al miglioramento di quello che se stessimo parlando di informatica, definiremmo l’hardware. Me lo racconta davanti a un caffè, con un certo orgoglio, proprio nel bar che devo ammettere ha cambiato completamente aspetto guadagnando in luminosità. La concretezza e il supporto dello studio sono il filo conduttore del lavoro di questa donna nata a Mortara, che porta con sé una conoscenza della situazione carceraria non certo comune, e che deve combattere ogni giorno con la carenza di fondi e soprattutto del numero di collaboratori a ogni livello. Giunti a questo punto mi consento un appunto personale: quand’anche le educatrici raggiungessero il numero previsto di otto, potrebbero non essere sufficienti per svolgere al meglio un lavoro cruciale, in grado di trasformare la vita tra le mura in una prospettiva per il domani. Se da una parte i numeri sono deficitari, anche per quanto riguarda gli agenti di polizia, non lo sono certo per il numero di persone accolte, visto che Pavia si allinea quantitativamente con quella che resta la piaga del nostro sistema carcerario: il sovraffollamento, acuito dalla presenza (attorno al 50 per cento) di detenuti provenienti da varie parti del mondo.  Il lavoro da fare è ancora molto, sebbene tanto sia stato fatto anche grazie al supporto del Provveditorato Regionale diretto con grande sensibilità da Maria Milano.

Proseguendo nella metafora informatica e prima di raccordare le strutture al  “software”, le idee e i progetti non mancano: si è messo mano alla ristrutturazione del teatro, della Chiesa,  della Moschea, mentre è iniziata l’attività di una piccola sartoria nata dalla collaborazione con “Afilolibero” una vera e propria novità per Torre del Gallo, che raccoglie commesse dei prodotti realizzati, anche grazie a  un sito dedicato.

 

La gestione del Covid e il dramma dei suicidi

 

Sono tanti gli argomenti che vorrei trattare, ma non si può non affrontare quello della gestione del Covid: “Mi trovavo a Voghera a quei tempi, non abbiamo avuto rivolte e soprattutto grazie alla collaborazione con il medico del lavoro siamo riusciti a governarlo molto bene, abbiamo avuto una perdita, un detenuto che è stato immediatamente curato a Milano ma che non ce l’ha fatta”.

Mi viene spontaneo chiedere che cosa pensa del numero di suicidi, superiore alla media nazionale in questi luoghi, non solo tra le persone ristrette, ma anche tra gli agenti di polizia. I cardini di come si può provare a ridurre questa silenziosa tragedia secondo la nostra direttrice partono dalla formazione degli agenti, nella ricerca del rafforzamento delle motivazioni della loro scelta professionale e l’apertura di sportelli psicologici. “Spesso ci troviamo di fronte a eventi non annunciati e la causa del suicidio va ricercata individualmente, noi dobbiamo intercettare a tutti i costi il problema anche se le risorse a nostra disposizione sono veramente esigue, visto che possiamo contare al momento su 102 ore al mese per 650 detenuti. Personalmente ho vissuto questo lutto due volte, con persone da cui non mi aspettavo certo un gesto del genere”. Siamo al mistero che avvolge questi eventi anche fuori. Il punto di vista strutturale emerge ancora nella conversazione con la dottoressa Mussio quando si parla di celle aperte: “Quello che conta è il coinvolgimento delle persone detenute in attività che le occupino attivamente, la semplice apertura, che si trasforma in un girovagare per il corridoio è di scarsa utilità”, comunque abbiamo avviato una riapertura, in due sezioni nei rispettivi padiglioni, come nell’esperienza che ho personalmente verificato a Lodi nella sezione Olmo”.

 

“Un maggiore coinvolgimento della società civile”

 

Le chiedo che cosa servirebbe oggi a Pavia e come pensa di procedere: “Abbiamo bisogno di un maggiore coinvolgimento della società civile, una città dovrebbe comprendere che il carcere è anche un problema sociale si dovrebbe sentire coinvolta. Questo già accade con alcune realtà, anche se i volontari potrebbero essere di più. La collaborazione con Don Dario ci offre un grande supporto, e anche con l’Unitre, c’è un bel progetto di Pet therapy con l’associazione Amici della Mongolfiera e altre persone con cui abbiamo avviato corsi di musica, sport, cultura. C’è un legame con l’Università e i Collegi universitari, in particolare il Collegio Borromeo che ha assunto tre detenuti in borsa lavoro, con il conservatorio Vittadini, ma sarà fondamentale raccordare un legame con le imprese per offrire a queste persone una prospettiva di lavoro che parta da qui e si sviluppi all’esterno, dando loro la speranza di una vita futura”.  Ci sarebbero ancora tanti temi da affrontare, dal regime di 41bis che Stefania Mussio ha conosciuto in varie situazioni, ai ragazzi provenienti dalle carceri minorili. La sua è anche un’azione di consapevolizzazione dei temi della reclusione e del crimine, di cui spesso si sottovaluta il danno sociale, che affronta anche negli incontri con gli studenti di varie università, ma di questo spero avremo modo di parlarne con la ripresa delle uscite di Numero Zero, il periodico culturale redatto dai detenuti, che proprio sulle pagine de “il Ticino” ha trovato a lungo una preziosa ospitalità in passato.