Sante Spine: l’omelia del Vescovo, Mons. Sanguineti

Guerra, fede e fraternità i temi da affrontare e per Pavia sul campo nomadi occorre una soluzione condivisa

Vespri delle Sante Spine
Duomo di Pavia – lunedì 6 giugno 2022

Distinte autorità civili e militari, stimati rappresentanti del mondo sociale ed economico,
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,

Ringrazio tutti voi che questa sera vi siete raccolti per onorare le Sante Spine del Signore: un saluto cordiale rivolgo al mio confratello Giovanni Scanavino, vescovo emerito di Orvieto – Todi, e ai confratelli sacerdoti. Saluto in modo particolare Don Alessandro Tovt, responsabile della comunità greco-cattolica ucraina di Pavia, e il diacono Nikolai, in cura pastorale presso la comunità ortodossa russa, accompagnati da Don Michele Mosa, Incaricato della diocesi per l’ecumenismo: è un bel segno che siano qui a pregare insieme per la pace in Ucraina.
Quest’anno abbiamo potuto riprendere il gesto della processione, portando per le vie del centro della nostra città le preziose reliquie: la processione non è uno spettacolo in cui ci mettiamo in mostra. È un’espressione di fede che riceviamo dai nostri padri e da una storia che ci precede, è l’occasione per riconoscerci come popolo di Dio in cammino per le vie del mondo, condividendo i luoghi e le circostanze della vita quotidiana, è una preghiera che s’innalza coralmente per invocare la benedizione del Signore sulla nostra città, su ogni persona che vive, ama, gioisce e soffre.
Contemplando il segno delle Sante Spine, siamo ricondotti al mistero della passione di Cristo, alla sua piena solidarietà con la nostra umanità fragile e mortale, alla testimonianza di un amore mite e forte, puro e gratuito, fino al dono totale di sé. Al Signore che ora vive per sempre nella gloria, portando nel suo corpo risorto i segni della sua passione, vogliamo portare la trepidazione e le preoccupazioni che viviamo, come comunità umana e cristiana.

Innanzitutto, nella nostra preghiera, avvertiamo l’urgenza della pace, bene fondamentale, oggi insidiato e calpestato dalle troppe guerre che insanguinano la terra. Proprio ieri il Papa ha alzato ancora una volta la sua voce per implorare scelte di pace nel conflitto che si prolunga in Ucraina, con sofferenze inumane di cui sono vittime le popolazioni civili: «A cento giorni dall’inizio dell’aggressione armata all’Ucraina, sull’umanità è calato nuovamente l’incubo della guerra, che è la negazione del sogno di Dio: popoli che si scontrano, popoli che si uccidono, gente che, anziché avvicinarsi, viene allontanata dalle proprie case. E mentre la furia della distruzione e della morte imperversa e le contrapposizioni divampano, alimentando un’escalation sempre più pericolosa per tutti, rinnovo l’appello ai responsabili delle Nazioni: non portate l’umanità alla rovina per favore! Si mettano in atto veri negoziati, concrete trattative per un cessate il fuoco e per una soluzione sostenibile. Si ascolti il grido disperato della gente che soffre – lo vediamo tutti i giorni sui media – si abbia rispetto della vita umana e si fermi la macabra distruzione di città e villaggi nell’est dell’Ucraina. Continuiamo, per favore, a pregare e a impegnarci per la pace, senza stancarci».
Sì, fratelli e sorelle, continuiamo a pregare per la pace, a impegnarci per essere uomini e donne di pace negli ambienti un cui viviamo, nelle responsabilità che abbiamo, continuiamo a sostenere con offerte e aiuti concreti le popolazioni delle zone di guerra, attraverso la Caritas, attraverso la comunità ucraina presente a Pavia, attraverso varie organizzazioni di volontariato: preghiamo per il popolo ucraino e anche per il popolo russo, perché possano ritrovare il sentiero di un cammino tra fratelli, nel rispetto dei diritti e dell’identità delle loro nazioni.
La pace che invochiamo e che è affidata alla grave responsabilità dei governanti e dei potenti – di essa risponderanno davanti a Dio – non può essere una pace a tutti i costi, imposta dal più forte, senza rispetto dei popoli e delle persone. Così si è espresso nei giorni scorsi il vescovo della città devastata di Kharkiv: «Gli ucraini vogliono la pace, ma questa non significa solo assenza di guerra. Vuol dire giustizia e libertà». Altrimenti è una falsa pace, che pagano le nazioni più deboli, com’è accaduto più volte nella storia, proprio per i popoli che dopo la seconda guerra mondiale, sono stati posti sotto il dominio del comunismo sovietico. Restano vere anche oggi queste parole di San Giovanni Paolo II: «Come una Cattedrale, la pace deve essere costruita, pazientemente e con fede incrollabile. Ovunque i forti sfruttino i deboli; ovunque i ricchi pieghino al loro potere i poveri; ovunque grandi potenze cerchino di esercitare un predominio e imporre ideologie, qui l’opera di portare la pace viene vanificata, qui la cattedrale della pace viene di nuovo distrutta».

C’è una seconda urgenza che vogliamo consegnare a Cristo e che chiama tutti a un impegno responsabile: nella nostra società, per molteplici ragioni, si va indebolendo il tessuto connettivo tra persone e comunità. Nonostante un patrimonio vivo di bene, che si manifesta in gesti e iniziative di solidarietà, di condivisione dei bisogni e di attenzione a soggetti più fragili – lo abbiamo visto in questi due anni di pandemia e in questi mesi di soccorso all’Ucraina e di accoglienza in Italia di tanti profughi provenienti da questo paese – cresce uno strisciante individualismo che porta a chiudersi in se stessi e a perseguire solo i propri interessi. Purtroppo si manifestano segni di una fatica nel promuovere una piena integrazione di gruppi che restano ai margini della vita sociale e si verificano in Italia episodi di violenza, in particolare molestie a giovani donne, e di disordini che vedono protagonisti talvolta giovani immigrati. Non si tratta di colpevolizzare delle categorie, come se a delinquere fossero solo i non-italiani, però è indubbio che una vera integrazione chiede un impegno da parte di tutti, di noi che abitiamo in questo paese e di chi arriva da altre nazioni, spesso fuggendo da guerre, miseria, da persecuzioni: ieri, in una chiesa cattolica nel sud-ovest della Nigeria, un nuovo attentato ha provocato almeno cinquanta morti, tra cui dei bambini, semplici cristiani che erano alla messa di Pentecoste. È solo l’ultimo di una serie di atti violenti, che accadono nel silenzio e nell’indifferenza anche di noi fratelli nella fede in Cristo!
Comuqnue fenomeni di sfruttamento, di lavoro sotto-pagato degli stranieri, di coinvolgimento nella zona grigia dell’emarginazione e della delinquenza sono sintomi di una politica mal condotta di vera accoglienza e di autentica integrazione.
Nella nostra città, sono perciò da promuovere e valorizzare le iniziative, che nascono dal basso, da soggetti ecclesiali – come parrocchie, oratori e comunità d’ispirazione cristiana – e da associazioni e realtà civili e di varia ispirazione ideale, in una positiva collaborazione con gli enti amministrativi locali e regionali, con il mondo della scuola e dello sport e che favoriscono concretamente l’incontro, l’accoglienza, lo scambio reciproco con persone e famiglie, segnate da differenti forme di povertà, italiane e di altre nazionalità, e che favoriscono un’integrazione vera, dove ognuno impara dall’altro, dona e riceve, custodisce il proprio volto e si apre alla storia e alla tradizione del paese dov’è accolto.
In questa prospettiva, è da ripensare la questione sollevata in questi mesi della collocazione dei gruppi di rom e di sinti che da anni abitano in piazzale Europa: certamente non si possono “spostare” come se fossero numeri, dopo che da decenni vivono in quell’ambiente, il loro futuro va progettato e pensato con loro, con le realtà che da anni si coinvolgono attivamente con queste persone, con le loro famiglie, cercando vie che favoriscano una maggiore integrazione di questi gruppi nella nostra città, offrendo percorsi praticabili e chiedendo a loro una responsabile collaborazione per essere cittadini a pieno titolo di Pavia e del nostro territorio. È un cammino da fare insieme, e qui chi amministra la cosa pubblica ha una sua peculiare responsabilità.

Infine, carissimi fratelli e sorelle, come vescovo della Chiesa in Pavia, avverto un’ultima urgenza che vorrei deporre nel cuore del Signore: c’è un tessuto di fede che si va indebolendo nell’esistenza concreta delle persone, anche se permane in tanti un animo impregnato di una memoria cristiana, di tratti, valori e gesti che nascono in fondo dal cristianesimo. Come credenti nel Signore Gesù, abbiamo bisogno di riscoprire il gusto della fede cristiana, come esperienza condivisa nella concretezza di una comunità, nelle parrocchie e negli oratori, nelle varie forme di vita ecclesiale.
Ricevendo la benedizione con le Sante Spine, chiediamo allo Spirito di ridestare nei cristiani di Pavia la gioia di essere Chiesa, l’impeto della testimonianza in ogni situazione di vita, la passione di generare alla fede i piccoli, i ragazzi, i giovani, perché vi siano sempre uomini e donne che vivono della speranza del Vangelo e che possano essere un lievito di vita buona per tutti. Amen!