La guerra in Ucraina e l’Unione Europea, l’intervento della sezione di Pavia del Movimento Federalista Europeo

“Per l’Europa, l’aggressione militare russa costituisce uno storico spartiacque, con implicazioni politiche, economiche e strategiche”

Mentre Kharkiv, Chernihiv, Sumy, Irpin, Odessa, Mariupol, Kiev, e altre città e paesi dell’Ucraina vengono bombardate, distrutte e occupate delle armate di Putin, e dove decine e decine di migliaia sono i morti e milioni i rifugiati (donne e bambini), dove quotidianamente il presidente Zelens’kyj rivolge disperati appelli di aiuto, nella Nato e nelle Cancellerie internazionali, da un lato, si vuole evitare di dare al Cremlino il destro per un allargamento del conflitto, dall’altro, però si fatica a trovare una soluzione diplomatica. Dopo l’Holodomor, la carestia provocata dall’URSS di Stalin che colpì l’Ucraina tra il 1932 e il 1933 e che provocò la morte per fame e malattie di milioni e milioni di morti, in questi giorni si rinnova l’eccidio di una intera popolazione per mano delle bombe e delle armi russe e già nelle regioni occupate è iniziato e si amplia il processo di “russificazione”. Il popolo ucraino è nuovamente abbandonato a se stesso e al suo tragico destino di morte, di dolorosi espatri e di sudditanza. C’è allora da chiedersi: fino a quando e fin dove Putin potrà spingersi forte della minaccia nucleare e del ricatto di un nuovo conflitto mondiale? Dopo l’invasione e annessione della Crimea, si pensava che il conflitto di questi giorni si potesse arrestare all’inglobamento delle regioni con popolazioni russofone, ora il conflitto investe tutta l’Ucraina e già ci sono fondati timori per Moldavia, Lituania, Lettonia, Estonia e forsanche per Finlandia e Svezia, Paesi dell’Ue, ma non della NATO. Jens Stolberg, segretario generale della Nato, non fa misteri e lo ripete da giorni: “Gli obiettivi del Cremlino non si fermano all’Ucraina”. Alle democrazie occidentali, contro lo spettro di un terzo conflitto mondiale in Europa, non rimane che l’“arma” delle sanzioni economiche e finanziarie. C’è però il dubbio, se non sull’efficacia, quantomeno sui tempi. Potranno, e tra quanto tempo, essere in grado di generare un’implosione interna alla nomenclatura russa e mettere fine al delirio di un uomo solo al comando? Dubbi che peraltro coinvolgono direttamente la capacità di tenuta dell’Europa perché le sanzioni economiche contro il Cremlino nel breve e medio periodo hanno dirette conseguenze sull’economia dei singoli paesi membri. Per dirla con le parole del Presidente del Consiglio Draghi: “Non siamo in economia di guerra, ma bisogna prepararsi”. Il protrarsi della guerra armata e di quella economico-finanziaria fanno prefigurare scenari disastrosi e, allora, immediata sorge la domanda: chi avrà possibilità di farvi fronte e chi imploderà prima? La dittatura russa, capace di soffocare vite umane e contestazioni con arresti di massa, colpendo ferocemente e indistintamente, con il controllo delle informazioni e una propaganda di regime in grado di accusare di ogni colpevolezza l’Occidente. Oppure, le democrazie occidentali, prive di fonti energetiche alternative per sopperire alla dipendenza dal petrolio e gas russi. Allora, la domanda immediatamente successiva è: in prospettiva avranno le popolazioni europee motivazioni sufficienti e capacità di tenuta in un contesto di “economia di guerra”? Un Risiko complesso. Una cosa è certa, come per la pandemia, anche nel conflitto in corso i Paesi europei potranno uscirne tutti assieme ed uniti, intorno ai lori valori di pace, di libertà e di democrazia, ma anche con soluzioni strutturali sotto il profilo economico, delle fonti energetiche e della difesa militare. Per l’Europa, l’aggressione militare russa costituisce uno storico spartiacque, con implicazioni politiche, economiche e strategiche, rispetto all’ordine nato dopo la “guerra fredda” e il crollo del Muro di Berlino e c’è la consapevolezza della necessità di un cambio di prospettiva per il futuro stesso dell’Europa. Il tempo della irrisolutezza europea deve definitivamente finire, subito. E’ indispensabile cementare la nostra Unione con un salto politico federale per resistere alle spinte disgregative che questa guerra – soprattutto se protratta – innescherà e per poter iniziare a pensare da Europei con una governance europea. Solo così potremo resistere e vincere gli effetti della guerra. E se, come aveva prefigurato Jean Monnet: “L’Europa si farà nelle crisi e sarà la somma delle soluzioni apportate a queste crisi”, allora la Conferenza sul futuro dell’Europa sia l’occasione storica per avviare subito le riforme dei Trattati necessarie per far nascere l’unione politica federale.

(FOTO AGENSIR)

Piero A. Lazzari

(segretario della sezione di Pavia del Movimento Federalista Europeo)