Siamo entrati nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e non posso non cogliere “la provocazione” che ci viene da Paolo: una provocazione che ci aiuta a capire cos’è la Chiesa e chi siamo noi. Parto dal noi. Chi sono io? La risposta è semplice e ce la offre lo stesso Paolo: io sono un peccatore giustificato dalla misericordia del Padre. Sono un chiamato, cioè sono stato scelto perché amato. Come ricorda il motto di Papa Francesco “miserando atque eligendo” (“lo guardò con amore e lo scelse”, riferito alla chiamata di Matteo), tratto da Beda il Venerabile. Sono santo non per aver scalato una montagna o per aver vinto la medaglia d’oro ma per essermi affidato al Padre, per aver aderito al suo progetto, per aver risposto alla sua chiamata. Sono santo perché sono cristiano, perché non ho chiuso il battesimo in un cassetto: non mi è chiesto qualcosa di speciale; mi è chiesto di vivere ciò che sono: uomo o donna, laico o consacrato, padre o madre, professionista… La «Chiesa – ci ricorda infatti Papa Francesco – offre a tutti offre la possibilità di percorrere la strada della santità, che è la strada del cristiano». I Santi – continua il Papa – «non sono superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi, come ognuno di noi»: hanno vissuto «una vita normale ma hanno conosciuto l’amore di Dio e lo hanno seguito con tutto il cuore, senza condizioni e ipocrisie». In altre parole: «Il cristiano, infatti, è “già” santo, perché il Battesimo lo unisce a Gesù e al suo mistero pasquale, ma deve al tempo stesso “diventarlo”, conformandosi a Lui sempre più intimamente. A volte si pensa che la santità sia una condizione di privilegio riservata a pochi eletti. In realtà, diventare santo è il compito di ogni cristiano» (Benedetto XVI). Battezzato cioè cristiano cioè santo: basta vivere – diciamo così – il nostro sacerdozio battesimale. E poi la Chiesa. Bellissime le parole di Paolo: uno sguardo senza confine. Che supera ogni barriera. Che va al di là di ogni divisione. È Chiesa l’assemblea di tutti coloro che “credono in Gesù Cristo”. Due piccole annotazioni: amiamo la Chiesa locale in cui viviamo: la diocesi, la parrocchia ma non dimentichiamo mai di essere “una porzione” della Chiesa universale, di quella Chiesa “cattolica” che abbraccia il mondo intero. Respiriamo a pieni polmoni non moriamo chiusi in un piccolo orticello, difendo confini che non hanno valore o, peggio ancora, rosi dall’invidia per la parrocchia vicina o per la diocesi confinante. E infine riscopriamo la dimensione ecumenica: si è cristiani in virtù del battesimo e della fede in Gesù Cristo non per un timbro che ci qualifica appartenenti a una confessione o una comunità. In questo ci aiuterebbe molto non dimenticare i martiri – l’ecumenismo del sangue, lo chiama Papa Francesco – e l’amicizia con cristiani di altre confessioni.
Don Michele Mosa