“Pavia torni a essere una vera comunità per battere la corruzione”

Mons. Gianfranco Poma riflette sul “Sistema Pavia”

Di Alessandro Repossi

 

E’ uno degli argomenti più gettonati negli ultimi giorni sui media. Giornali, radio, televisioni, siti e social di ogni genere non fanno altro che parlare del “Sistema Pavia”. Purtroppo non si tratta di progetti legati alle eccellenze del nostro capoluogo, come l’Università e la sanità. La definizione riguarda presunti scambi di favori tra magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, politici e imprenditori. A portarlo alla luce è stata la Procura di Brescia nell’indagine collegata alla nuova inchiesta aperta a Pavia per il delitto di Chiara Poggi, il 13 agosto 2007 a Garlasco. Come sempre è necessario attendere che la giustizia faccia per intero il suo corso prima di esprimere opinioni definitive. La vicenda allarma e inquieta Pavia. In attesa di sapere, dopo 18 anni, chi ha ucciso Chiara, è giusto pretendere che venga fatta chiarezza sino in fondo sul modo con cui sono state gestite le istituzioni che devono garantire la sicurezza dei cittadini e il rispetto delle regole.

Sul “Sistema Pavia” abbiamo chiesto una riflessione a Monsignor Gianfranco Poma (nella foto), sacerdote tra i più conosciuti e stimati della città, “coscienza critica” della nostra comunità: sul sito www.ilticino.it  vi proponiamo la sua intervista già pubblicata sul numero de “il Ticino” di venerdì 24 ottobre 2025.

 

Monsignor Gianfranco, pochi conoscono Pavia come lei. Che idea si è fatto di quanto sta emergendo dalle indagini? Cosa la colpisce?

“La gente è sconcertata, e non posso darle torto. Quando vengono coinvolte istituzioni che dovrebbero essere garanti della legalità e della sicurezza, il colpo è forte. Pavia è una città piccola, e proprio per questo più ‘verificabile’ di tante altre. Sono arrivato in Seminario nel 1949 e, a parte una parentesi romana, non me ne sono più andato. In questi anni mi sono reso conto che a Pavia si può trovare davvero di tutto: cultura, arte, cinema, Università, tante iniziative. C’è tutto, ma non c’è la città. C’è vitalità, ma manca l’anima collettiva. Pavia non riesce a essere sè stessa”.

 

È una crisi di identità, quindi?

“Sì, credo che la radice del problema sia questa. Il mondo è cambiato radicalmente. Come dice Papa Francesco, ‘non siamo in un’epoca di cambiamenti, ma nel cambiamento di un’epoca’. Ma non tutti ne abbiamo preso coscienza. A Pavia questo si vede bene: il cambiamento è avvenuto, ma non è stato ‘abitato’, non è diventato nuova forma di convivenza. La città vive, ma non come comunità. È un laboratorio di quello che accade nel mondo intero”.

 

C’è chi parla di una “privatocrazia” che ha sostituito la democrazia. È d’accordo?

“Purtroppo è così. Oggi domina il privato. La democrazia si è svuotata, ridotta alla somma degli interessi personali. Ciascuno pensa a sé, e chi può si prende i propri comodi. In questa logica si inserisce anche il ‘Sistema Pavia’: nasce dal predominio del privato sul bene comune. È la logica dell’economico che cancella quella della cultura, della relazione, dell’etica”.

 

Eppure Pavia è una città dove, in fondo, si vive bene.

“E’ proprio questo il punto. Il benessere diffuso attenua gli anticorpi. Quando tutto funziona, o sembra funzionare, si smarrisce la capacità di indignarsi. Si perde la tensione verso il bene comune. Alla fine ciascuno ‘si arrangia’. Ma quando il problema diventa la relazione, ci si accorge che non c’è più nulla. Manca la città come comunità viva. Se vogliamo battere la corruzione, dobbiamo tornare ad essere uniti”.

 

Chi può invertire la rotta?

“Rimango fermamente convinto che un ruolo fondamentale spetti alla nostra comunità ecclesiale. Papa Paolo VI pose una domanda essenziale al Concilio Vaticano II: ‘Chiesa, cosa dici di te stessa?’. E la risposta era chiara: la Chiesa non è una struttura autoreferenziale, ma una comunità di persone che si amano. Se la Chiesa torna a essere questo — non un potere, ma un luogo di umanità — allora può generare anticorpi spirituali e civili. Non si tratta di creare ‘gente che comanda’, ma persone che amano e vivono il proprio lavoro come servizio”.

 

I giovani possono essere la speranza?

“Ne sono convinto. I giovani sono aperti, cercano senso. Non sempre lo trovano nella Chiesa, ma è a noi che tocca aprirci a loro. Non possiamo proporre una fede filosofica o astratta: Dio è nella carne, nella vita quotidiana, nelle relazioni vere. È lì che si scopre l’amore, che è il volto stesso di Dio. Dobbiamo tornare all’essenziale, alla relazione autentica tra le persone”.

 

Monsignor Gianfranco, in questo clima di sfiducia, si può ancora essere ottimisti sul futuro di Pavia?

“Io lo sono. Pavia può ritrovare la sua anima, ma solo attraverso la fraternità. ‘Io ci sono per te, ma ho bisogno di te’: è questo il fondamento della comunità. Se riscopriamo questo spirito, torneremo a essere non una somma di individui, ma una città viva, dove la democrazia è reale e non privata. Pavia, con la sua dimensione umana e la sua storia, può diventare un modello”.