La Sacra Scrittura di domenica 21 maggio

Il commento di don Michele Mosa. «Essi però dubitarono»

Siamo al culmine dell’esperienza del discepolato: il percorso pluriennale, fra alti e bassi, fra momenti di gloria e attimi di sbandamento, è giunto all’atto finale: il Maestro, il Crocifisso Risorto, torna la Padre che lo aveva inviato. Se ne va ma non li lascia soli: promette, garantisce che sarà con loro ogni giorno. E le promesse del Maestro non sono promesse da marinaio. Lo aveva sperimentato a Emmaus: lo “videro” quando sparì dalla loro vista. Come sul lago di Tiberiade. Sai che c’è. Ma…Quando c’è di mezzo Dio la certezza non può essere granitica, la fede coabita sempre con il dubbio. «Uno degli illuministi, uomo assai erudito che aveva sentito parlare del rabbi di Berditchev, andò a fargli visita, per disputare come il suo solito anche con lui, nell’intento di fare scempio delle retrive prove da lui apportate per dimostrare la verità della sua fede. Entrando nella stanza dello Zaddik, lo vide passeggiare innanzi e indietro con un libro in mano, immerso in profonda meditazione. Il saggio non prestò alcuna attenzione al visitatore. Finalmente si arrestò, lo guardò di sfuggita, e sbottò fuori a dire: «Chissà, forse è proprio vero». L’erudito chiamò invano a raccolta tutto il suo orgoglio: gli tremavano le ginocchia, tanto era imponente lo Zaddik da vedere, tanto tremenda la sua sentenza da udire. Il rabbino Jevi Jizchak si volse però completamente a lui, rivolgendogli in tutta calma le seguenti parole: «Figlio mio, i grandi della Torah, con i quali tu hai polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso sopra. Essi non sono stati in grado di porgerti Dio e il suo regno; ora, neppur io sono in grado di farlo. Ma pensaci, figlio mio, perché forse è vero». L’illuminista fece appello a tutte le sue energie interiori, per ribattere; ma quel tremendo “forse” , che risuonava ripetutamente scandito ai suoi orecchi, aveva spezzato ogni sua velleità di opposizione». «Forse è proprio vero». Questo è il “segreto” della fede e dell’incredulità. Forse. Scriveva il Card. Martini: «Nessuno di noi è lontano da tale esperienza: c’è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere». E introducendo gli incontri della Cattedra dei non credenti: «Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l’un l’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa». Troppa fede è – a mio parere – premessa al fideismo che sfocia nel fanatismo e nel fondamentalismo. Bene lo spiegava il Card. Ratzinger: «Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo regno, nemmeno il credente a se stesso. Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l’incredulità, a essa resta sempre appiccicata addosso l’inquietudine del «forse però è vero». Il “forse” è l’ineluttabile tentazione alla quale l’uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale anche rifiutando la fede egli deve sperimentarne l’irrefutabilità. In altri termini: tanto il credente quanto l’incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre che non cerchino di sfuggire a se stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l’uno la fede si rende presente contro il dubbio, per l’altro attraverso il dubbio e sotto forma di dubbio». Forse vale la pena rifletterci.

 

Don Michele Mosa