La Sacra Scrittura di domenica 31 luglio

Il commento di don Michele Mosa. «Voi infatti siete morti»

Non è argomento da ombrellone né da passeggiata nei boschi. Per molti non è proprio argomento: come si fa a parlare di morte? È vero tutti i giorni parliamo e sentiamo parlare di morte, anzi di morti: per guerra, per omicidio, per fame. A volte addirittura per distrazione e superficialità. Parlare di morte si può; il tabù è la mia morte. (Speriamo sia il più lontano possibile). Ancora più difficile è affrontare l’argomento della tua morte con te, fratello o sorella, amico o amica, parente o conoscente. Parliamo spesso della morte come qualcosa che accade non si sa bene a chi, come eventualità che probabilmente non mi riguarda. Ma come fai a dire all’amico con cui bevi il caffè: vorrei parlare della tua morte? Ecco, questo è ciò che Paolo fa’ con me, con noi tutti. E senza giri di parole. «Voi siete morti». L’intervento di Paolo però è singolare: prima di parlare di morte, parla di risurrezione di vita nuova. «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù». Il punto di partenza è la risurrezione di Cristo che mi ha coinvolto con il battesimo e che, come conseguenza, ha ucciso l’uomo vecchio: per questo sono morto. Con Paolo potremmo dire anche noi: non sono più io che vive ma Cristo vive in me. Qui sta il nocciolo della questione: ancora una volta il problema è la Croce di Cristo. La sua morte. La sua risurrezione. Non riuscirò mai a chiamare, come Francesco d’Assisi, sorella la morte, spero però di fare mia questa prospettiva paolina: se ti fai trasparenza di Cristo, se – come scrive Paolo – sei nascosto in lui, sparire, cioè morire, non è un problema: chi non ha mai calcato le scene, non teme di uscire di scena. Qualcuno sarà disorientato, per non dire scandalizzato, dalle mie parole: Paolo – penserà – ci sta invitando ad alzare lo sguardo, a non essere materialisti, a non legarci a questa terra… tutto vero. Morte, anzi il mio essere morto, mi ferisce più profondamente: non può ridursi a un fervorino spirituale. Qui, credo, si tratta di una nuova prospettiva di vita. Lo dico molto banalmente: non basta non essere sui social, bisogna saper giocare da discepolo senza pretendere – cosa che facciamo tutti, io per primo – da maestro. Rubo ancora a Paolo. Di fronte alla sua morte l’Apostolo così riassume la sua vita: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede». Già, forse a noi interessa poco la fede. Per noi contano i meriti.

 

Don Michele Mosa