“Germogli di risurrezione anche nell’oscurità della guerra”

L'editoriale di Mons. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia, dedicato alla S. Pasqua e pubblicato sull'ultimo numero de "il Ticino"

Se la Pasqua dell’anno passato era ancora segnata dalla pandemia che da due anni ci accompagna, la Pasqua 2022 porta dentro di sé la ferita e il dolore per la guerra in corso in Ucraina, con il suo orrendo spettacolo di morte, di violenze inumane dove a soffrire sono spesso innocenti civili, di ogni età, oltre ai militari che si combattono. Certo, in realtà, anche negli anni scorsi la guerra ha funestato e colpito popoli spesso dimenticati – nello Yemen, nella regione del Tigrai, in Siria, in più nazioni dell’Africa dilaniate da lotte civili e da persecuzioni contro le minoranze cristiane come in Nigeria, in Burkina Faso, nel Congo – e noi occidentali abbiamo spesso chiuso gli occhi su questa «terza guerra mondiale combattuta a pezzi» (Papa Francesco) che da anni insanguina il mondo. Si comprende come una guerra nel cuore dell’Europa, con scene terribili che pensavamo appartenessero al passato del nostro continente, abbia una risonanza maggiore in noi, perché la sentiamo più vicina e già avvertiamo conseguenze economiche che potrebbero farsi più gravi, andando a pesare su famiglie e imprese che iniziavano a vedere uno spiraglio di ripresa, dopo la crisi legata alla pandemia. Però è indubbio che sono i mezzi della comunicazione a dare maggior rilievo a certe notizie e a certi temi, condizionando la percezione della gente. Ora, noi oscilliamo tra due posizioni estreme, entrambe parziali e infeconde: da una parte ci concentriamo ossessivamente su eventi e fenomeni, che sembrano occupare tutto l’orizzonte della vita, creando un’impressione di soffocamento; dall’altra, come reazione istintiva, dopo un po’ di tempo, vogliamo voltare pagina, ci giriamo dall’altra parte, non guardiamo più telegiornali e altre fonti d’informazione, quasi ne fossimo saturi, proviamo a vivere come se, in fondo, certi avvenimenti non ci riguardassero.

 

 

Una comunicazione martellante

 

 

È accaduto così con il Covid: una comunicazione martellante, che tendeva a generare non solo la giusta preoccupazione, ma talvolta un clima generale di paura e di controllo sociale, i continui interventi degli esperti – a volte smentiti dalla realtà in certe previsioni cupe – che per mesi hanno riempito giornali e canali televisivi, l’esperienza prolungata di forme di distanziamento che da fisico è diventato sociale, umano e psicologico, con tutte le gravi ricadute sulle persone più fragili, il ricorso eccessivo alla Dad e a forme di comunicazione digitale, tutto questo ha creato in molti una reazione contraria, in parte comprensibile. Basta parlare di Covid! Riprendiamo a vivere una normalità che per troppo tempo ci è stata sottratta, con la consapevolezza di dovere mantenere misure equilibrate di prudenza o facendo finta che tutto sia già finito. La stessa cosa sta accadendo con la guerra in Ucraina perché anche in questo caso, dopo più di un mese dall’inizio del conflitto, siamo tentati di fare l’abitudine, di non avvertire più il contraccolpo di sgomento davanti alla follia di ciò che sta accadendo e alle sempre nuove testimonianze di atrocità che sono autentici crimini di guerra nei confronti della popolazione civile ucraina. Rischiamo perfino che nel tempo si affievolisca il movimento spontaneo di accoglienza e di solidarietà verso i profughi che arrivano anche nelle nostre città e paesi, o le mille forme di aiuto che si stanno realizzando in Italia, da parte di privati, di associazioni di volontariato, di comunità cristiane, di enti pubblici e amministrazioni locali. A lungo, noi non siamo capaci di reggere lo sguardo se esso si concentra esclusivamente su aspetti oscuri e dolorosi della realtà: inevitabilmente viviamo questa strana oscillazione tra una sorta di “infodemia” che riempie le nostre giornate e aumenta ansia e paura, e la reazione contraria di distogliere gli occhi e il cuore su ciò che accade, per salvare un po’ di tranquillità e serenità nel privato, almeno per chi è nelle condizioni di farlo.

 

 

Un avvenimento di risurrezione

 

 

Che cosa occorre allora? Occorre che dentro la complessità talvolta oscura e drammatica della vita e della storia, sia presente un avvenimento di risurrezione che continua a mostrare i suoi germogli, fragili, eppure capaci di attraversare il buio, come sorgente di luce e di speranza. Questo è il senso profondo della Pasqua che stiamo per celebrare: non è un rito che stancamente ritorna, non è neanche una “bella tradizione” da mantenere, è l’annuncio e la testimonianza di un fatto che da duemila anni si pone dentro la nostra storia e che continua a manifestarsi attraverso segni e germogli di vita nuova. È quello che esprime in modo semplice Papa Francesco in un passaggio della sua esortazione programmatica “Evangelii gaudium” dedicato all’azione di Cristo risorto: «La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto. In un campo spianato torna ad apparire la vita, ostinata e invincibile» (n. 276).

 

 

Segni da guardare

 

 

Allora, augurarci buona Pasqua è un invito ad aprire bene gli occhi, per cogliere i segni di risurrezione presenti dentro la nostra storia, per riconoscere una Presenza all’opera, attraverso la libertà e il cuore di uomini e donne che, anche nel buio, non cessano di affermare la luce, anche dove tutto muore, continuano a generare vita. Così, nell’immane tragedia che sta vivendo il popolo ucraino, ci sono realmente segni da guardare: mamme che danno alla luce i loro figli, mentre intorno infuria la guerra, coppie di giovani che celebrano il loro matrimonio tra le macerie, persone umili che mettono a disposizione il poco che hanno, fratelli e sorelle che nei bunker e nei sotterranei della metropolitana condividono la vita, pregano, celebrano messa, si confessano dai loro preti, fedeli al loro popolo, e poi i mille e mille gesti di disponibilità, di aiuto, di accoglienza che stanno fiorendo in Ucraina, nelle nazioni vicine dove si sono riversati i profughi, in Polonia, in Moldavia, in Romania, e in tante nazioni europee, anche in Italia e qui tra noi. Solo avendo negli occhi il bene, nascosto e poco appariscente, che spesso è sostenuto dalla fede in Cristo, da quell’umanesimo cristiano diffuso nelle vene della nostra Europa, nonostante decenni di secolarizzazione, possiamo guardare tutto, anche ciò che ci spaventa o ci fa inorridire, senza che il male diventi l’orizzonte dominante della vita. Con questo spirito, a Pasqua facciamoci gli auguri, con le parole che usano i cristiani d’oriente, anche ucraini: «Khrystos voskres!» – «Voistynu voskres!» «Cristo è risorto!» – «È veramente risorto!».

 

Mons. Corrado Sanguineti

(Vescovo di Pavia)