La Sacra Scrittura di domenica 3 ottobre

Il commento di don Michele Mosa. «Non si vergogna di chiamarli fratelli»

Uguali a Dio, se Dio esiste: aspirazione dell’uomo “moderno”. L’uomo che fa della scienza la sua bussola e della religione una superstizione d’altri tempi, se crede a Dio, se afferma l’esistenza di Dio sa di essere uguale a Dio, anzi di essere lui Dio. Se Dio c’è è mio fratello. O forse sorella. In ogni caso condividiamo lo stesso potere: donare la vita. Creare la vita. Decidere – e non solo perché uccido il nemico – quando togliere la vita. Non la tua ma la mia. Dal basso dunque è facile essere fratelli. E dall’alto? Cioè dal punto di vista divino cosa significa essere fratello dell’uomo e della donna? È significativo che Gesù chiama i suoi discepoli “fratelli” solo dopo la risurrezione: «Va’ dai miei fratelli – dice a Maria di Magdala – e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Cristo ci riconosce fratelli – e fratelli di sangue – solo dopo la crocifissione. Siamo suoi fratelli e sorelle perché ci ha scelti e abbracciati dalla Croce. È la Croce il trait d’union che lega indissolubilmente verticale e orizzontale, Trinità e umanità e fa di Cristo un fratello degli uomini: il fratello maggiore, il primogenito. Parlare di fraternità mi spinge a rovesciare l’ottica con la quale guardo me stesso e il mondo: non dall’alto di chi si sente migliore, di chi vive di simpatia e cerca consenso ma dal basso: come Gesù per guardare negli occhi il fratello e la sorella devo chinarmi, abbassarmi. Farmi servo con la brocca d’acqua, di cui solo io conosco il segreto, o con il catino e la salvietta per alleviare la fatica dell’altro. Senza vergognarsi. Mai. Per nessun motivo. Un fratello, una sorella può sbagliare ma non se non vuoi perderlo(a) non vergognarti di lui o di lei. Ama. E continua a vivere accanto a lei, lui. Cristo fratello dell’uomo e della donna, mio Paraclito presso il Padre.

 

Don Michele Mosa