“In piedi Signori, davanti a una Donna”

La riflessione del Dott. Gustavo Cioppa, Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia

“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna”.

William Shakespeare

 

Mulieres solutae, mulieres nuptae, puellae, single, coniugata, fanciulla, non c’è distinzione. Dietro l’angolo è in agguato l’orrore della violenza contro le donne, il cui volto più feroce è il femminicidio. Non che nel corso della storia sia mai tragicamente mancato. È, tuttavia, difficilmente contestabile che attualmente il fenomeno sia molto ricorrente ed in continua crescita: una vera e propria piaga. E scrivo il fenomeno pour cause. È, infatti, un vero e proprio fenomeno criminale, come quello mafioso, il narcotraffico, la tratta degli esseri umani e così via. Per comprenderne genesi e natura – ubi consistat, in una parola – occorre considerare che l’uccisione di un uomo è detta omicidio e muliericidio, quella di una donna. E il femminicidio? È un semplice sinonimo? Tutt’altro, la definizione vale a comprendere, intus et in cute, la differenza fattuale e ontologica del reato  di femminicidio. Se in una sparatoria in un supermercato rimane uccisa una commessa si parlerà dell’assassinio di una donna, di un muliericidio. Perché non di femminicidio? Perché il femminicidio è aliud. È la soppressione violenta di una donna da parte di un uomo con cui la vittima ha un legame. Una moglie, una convivente, un’amante, una fidanzata, che decide di porre fine al rapporto, può scatenare una rabbia feroce che provoca una reazione letale. E qual è il meccanismo alla base di siffatta reazione? È la non accettazione della decisione della donna, che l’uomo considera “res sua” e non intende esserne spossessato. Ecco allora l’in sé del reato di femminicidio, che è delitto contro la persona e, al contempo, contro la società, contro l’assetto sociale. E questo ultimo profilo appare chiaro quando il delitto diventa così numeroso da costituire un fenomeno criminale. Chiuso il cerchio del ragionamento, in juridicis ac sociologicis, resta da vedere quale sia la politica criminologica da adottare contro un simile delitto tanto ingravescente.
Il reato di femminicidio non pone, generalmente, problemi di particolari indagini. Il colpevole è, quasi sempre, noto e reperibile. Le questioni cominciano quando si inquadra il contesto e la condotta della vittima, che magari ha denunciato – e non una sola volta – le violenze e i maltrattamenti posti in essere dal partner. E quali difese sono state approntate per la sua tutela? Spesso nessuna, per cui, dopo aver sporto denuncia, la donna torna a casa, dove ritrova il denunciato. È pur vero che, quando il fenomeno s’è fatto allarmante, si sono attivati gruppi di volontariato e non solo e si sono, in taluni casi, apprestati alloggi provvisori, per allontanare la vittima. Tuttavia non può sottacersi che si è ben lontani da una effettiva presa in carico ad opera delle istituzioni (è un problema sociale) per prevenire efficacemente il femminicidio, ponendo mano ad un sistema organico di protezione (magari con uno sguardo alle famiglie dei pentiti per mafia). Se la potenziale vittima di femminicidio non riceve una adeguata tutela che faccia da baluardo efficace nei confronti del partner, il problema non si risolverà e nessuno sarà legittimato a lamentare che le donne non denuncino e non siano esortate a denunciare: voci fuor d’opera e dissonanti, voci che sovente recano l’eco, insistente, di un maschilismo mai definitivamente superato.

 

Dott. Gustavo Cioppa, Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia e Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia