“La vita è un dono meraviglioso, anche con la malattia”

L'intervista a "il Ticino" di Mario Melazzini, amministratore delegato di ICS Maugeri Pavia

La vita è un dono meraviglioso, anche in presenza della malattia: lo sostengo anche in forza della mia esperienza personale. Per me la malattia, che resta comunque un percorso difficile e faticoso, è anche un valore aggiunto”. E’ un messaggio carico di speranza quello che il prof. Mario Melazzini lancia attraverso un’ intervista rilasciata a “il Ticino” di venerdì 7 febbraio e che proponiamo anche ai lettori del nostro sito. Melazzini è stato nominato, nello scorso dicembre, amministratore delegato di ICS Maugeri, di cui era già direttore scientifico: una realtà che conosce bene, avendovi lavorato per molti anni con ottimi risultati. Nel corso della sua carriera professionale ha maturato una lunga esperienza in ambito sanitario, ricoprendo tra l’altro l’incarico di assessore regionale della Lombardia e direttore generale dell’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco). Oltre alle sue riconosciute qualità professionali, ha avuto il merito di testimoniare con coraggio la sua condizione di malato (è affetto dalla Sclerosi laterale amiotrofica): di questo parla anche nell’intervista a “il Ticino”, con particolare attenzione al tema della vita. “Come medico e uomo di scienza – sottolinea Melazzini -, dico che la vita è un bene che deve essere tutelato dal momento del concepimento fino alla sua fine naturale. La vita comprende anche il momento della malattia, che non è mai desiderabile e spesso non è preventivabile: però fa parte dell’esistenza di ogni donna e uomo”. Domenica 2 febbraio si è vissuta la Giornata per la Vita: “Sono momenti in cui tutti noi, indipendentemente dal nostro credo religioso e dalle nostre convinzioni, dobbiamo avere la consapevolezza di quanto la vita sia davvero un dono meraviglioso. Un dono che viene maggiormente valorizzato nel momento in cui accade l’imprevisto, come può essere un evento traumatico o l’insorgere di una malattia: una situazione che ci porta ad affrontare la vita in modo totalmente diverso da come l’avevamo ipotizzata. Secondo la cultura che io definisco del ‘benpensante’, la qualità della vita viene misurata in base a parametri consumistici, come la prestanza fisica di una persona o la sua capacità di produrre: è una corrente di pensiero che arriva ad ipotizzare il concetto di disponibilità della propria vita”.

“Accelerare il percorso del fine vita è una deriva estremamente pericolosa”

Quando si è aperto il dibattito sul fine vita, Melazzini non è stato tra i fautori del testamento biologico: “Lo affermo da medico, anche perché le norme presenti, a partire dal nostro codice deontologico, tutelavano già le persone e i pazienti. Da parte di alcuni viene considerata una vittoria il poter interrompere le cure, piuttosto che accelerare il percorso del fine vita sino alla depenalizzazione del suicidio assistito: è una deriva estremamente pericolosa. Così rischia di venir meno il rapporto medico-paziente, che si basa su una fiducia reciproca: anche in questo caso è una questione di sguardi. Una bellissima frase di Benedetto XVI ricorda che ‘lo sguardo che liberamente pongo sull’altro dà dignità a me stesso’. Un lavoro di un neuropsichiatra canadese spiega che ‘la dignità sta nell’occhio del curante’, ovvero di come si pone il medico nei confronti del paziente. Molto spesso nelle discussioni sul fine vita prevalgono le ideologie, i principi e a volte la non consapevolezza che la malattia, il dolore e la sofferenza possono far parte del percorso della nostra vita. Devono essere invece messi in atto gli strumenti che ci vengono messi a disposizione dalla bellissima legge sulla terapia del dolore: questo significa accompagnare e supportare nel modo migliore un paziente nel suo percorso di fine vita”.

“Il mio percorso con la malattia è un valore aggiunto”

“Considero il mio percorso con la malattia, che non è semplice e grazie a Dio sta continuando, come una sorta di valore aggiunto – spiega Melazzini -. Nella prima fase non è stato così, perché mi rendevo conto dell’impossibilità di coniugare i miei progetti con un’inattesa condizione di malato che comportava una totale dipendenza dagli altri. Il percorso di accettazione della malattia è estremamente lungo. Con il trascorrere degli anni, grazie al sostegno delle persone che mi sono vicine e a un grande aiuto che mi è arrivato dalla fede, il mio atteggiamento è cambiato. La fede ha giocato un ruolo importante nella mia vita: sono arrivato ad avere la consapevolezza del mio limite. Il mio padre spirituale, Silvano Fausti, mi ha donato il libro di Giobbe: una lettura difficile, che però mi è servita molto. Giobbe è in ciascuno di noi, a partire dal passaggio in cui spiega ‘Ti ho conosciuto per sentito dire, ma ora ti ho incontrato’: un’affermazione che, da cristiano, mi ha aiutato alla scoperta del mistero di Dio. Inoltre ho capito che ‘grazie alla malattia’ ho potuto compiere un percorso vicino alle persone a me più care, dai familiari agli amici. Così sono riuscito a ‘patrimonializzare’ la mia sofferenza. Non voglio esorcizzare la malattia: però sono riuscito ad avere la consapevolezza dei miei limiti e poter contribuire, a livello personale e professionale, ad aiutare gli altri”.


“La sfida del futuro è l’assistenza alle persone fragili”

“La sfida del futuro, per la medicina, è l’assistenza alle persone fragili – sottolinea l’ad di ICS Maugeri -. Oggi il 30 per cento della popolazione è affetto da malattie croniche: in molti casi si tratta di persone con più patologie. La cura di questi pazienti assorbe il 70 per cento delle risorse del Fondo sanitario nazionale. Il nostro Sistema sanitario, solidaristico e universalistico, fa il massimo ma fatica a reggere questo peso. Un problema legato anche alla spesa farmaceutica: il 74 per cento dei 30 miliardi di questa spesa viene rimborsato dal Sistema sanitario. In tale contesto diventa fondamentale la responsabilizzazione dei medici e anche dei pazienti, e anche dei loro familiari, nell’assumere correttamente le terapie. L’aderenza terapeutica è uno strumento che aiuta il paziente a stare meglio, ma nello stesso tempo contribuisce anche alla sostenibilità della spesa sanitaria. E’ chiaro però che va cambiato il modello generale, perché così com’è configurato non è più sostenibile”. Il prof. Melazzini metterà ora la sua esperienza personale e professionale al servizio del nuovo incarico affidatogli in ICS Maugeri: “A fronte del ruolo manageriale che mi spetta e mi compete, non dimentico qual’ è il primo obiettivo: la risposta alla persona, che solo un’efficace organizzazione può garantire. Una risposta che Maugeri è in grado di dare, grazie a tutte le competenze che sa mettere in campo in perfetta interazione con il Sistema sanitario nazionale”.

“L’Italia è in grado di affrontare emergenze come quella del coronavirus”

L’ad di ICS Maugeri si sofferma anche sull’emergenza sanitaria mondiale per l’epidemia di coronavirus. L’Italia sarebbe in grado di costruire un ospedale in 10 giorni,come si è fatto in Cina? “Ci auguriamo che il nostro Paese non venga mai chiamato ad affrontare un’emergenza di questo tipo – risponde Melazzini -, non perchè manchino le capacità, quanto per la ricaduta sulla popolazione. Però saremmo senz’altro in grado di sostenere un compito così difficile: l’Italia si unisce sempre nel momento delle difficoltà e il nostro Sistema sanitario nazionale è uno dei migliori al mondo. La cultura orientale lavora su grandissimi numeri: in particolare in Cina c’è una densità elevatissima di popolazione. Le autorità cinesi sono state in grado, con prefabbricati precostituiti, di realizzare in pochi giorni una struttura in grado di accogliere i pazienti e far fronte a questa imponente emergenza sanitaria. In Italia, attraverso una sanità di eccellenza e il nostro sistema di protezione civile, siamo comunque pronti ad affrontare queste emergenze percorrendo strade diverse. C’è da aggiungere che l’insorgere di queste situazioni emergenziali stimola, nel mondo della medicina e della ricerca scientifica, la produzione di nuove armi terapeutiche”. Un gruppo di ricerca italiano ha avuto il merito di isolare il coronavirus: “Sono orgoglioso di questo risultato, però stiamo attenti a non enfatizzarlo oltre il dovuto: non si tratta di un evento di straordinaria eccellenza scientifica, visto che l’isolamento di un virus avviene comunemente in tanti laboratori in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Si tratta comunque di un passaggio importante in vista della programmazione di un vaccino”.

Alessandro Repossi