“Celebrare San Siro: le radici vive di una vita che fiorisce oggi”

Ritorna la festa di San Siro, primo vescovo della nostra Chiesa, patrono della Diocesi e della città di Pavia, ed è un momento di memoria della nostra storia e della nostra identità, segnata dalla fede cristiana. Anche quest’anno, com’è accaduto nel 2018, nella settimana precedente il giorno della festa, gruppi di bambini delle parrocchie della città, accompagnati dai loro sacerdoti e catechisti, faranno una sosta davanti ai resti del nostro Santo, e saranno aiutati a dare un volto a San Siro, proprio per non perdere le proprie radici, per conoscere e condividere un’eredità viva che appartiene a Pavia e che va trasmessa anche a loro, i più piccoli, la futura generazione. Celebrare San Siro significa riappropriarci delle origini della Chiesa in Pavia, e di una componente fondamentale della nostra città: infatti, se è vero che nella sua storia, Pavia è venuta a contatto con vari popoli, non senza tensioni e contrasti, e ha ricevuto l’influsso di molteplici correnti di pensiero, contribuendo attraverso uomini di cultura e di scienza, attraverso libere aggregazioni sociali e politiche, a sviluppare orientamenti ideali e valori tipici della modernità, è altrettanto vero che il cristianesimo, attraverso la presenza della Chiesa, ha permeato profondamente un ethos condiviso, tradizioni, mentalità e prassi di vita, ha animato la nascita delle istituzioni che nel tempo hanno acquisito una loro autonomia dalla Chiesa pavese e che oggi rappresentano di più la nostra città – penso all’Università e al “San Matteo” – e ha creato opere d’arte di grande bellezza, come le sue splendide chiese, lasciando un’impronta sulla stessa disposizione urbanistica del centro. “Piazza Grande” e piazza del Duomo sono visibili eredi di un tempo antico, in cui la comunità civile e la comunità ecclesiale, rappresentate dal palazzo del Broletto e dalla cattedrale, vivevano fianco a fianco, s’intrecciavano nel vissuto delle persone e si affrontavano in momenti di confronto e di tensione, condizionandosi e arricchendosi a vicenda.mCerto, questo tempo è passato, ha avuto ovviamente le sue ombre, anche nel cammino della Chiesa pavese, e nessuno aspira a restaurare una “societas chistiana” che appartiene a un’epoca superata. La Chiesa stessa, provocata dagli eventi della storia e dal confronto con il pensiero moderno, ha maturato, soprattutto nel secolo scorso, con il Concilio Vaticano II, la riscoperta di un’autentica laicità dello Stato, che in realtà appartiene al Dna della fede cristiana, secondo le stesse parole del Vangelo: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). È stata progressivamente abbandonata l’idea di uno “Stato confessionale” in cui la legge e i costumi debbano riflettere “in toto” i contenuti della Rivelazione e della fede cristiana, e oggi si riconosce il valore e la ricchezza del pluralismo culturale che caratterizza la nostra società, e la pratica di un dialogo sull’umano, nel quale ciascun soggetto, credente e non credente, senza rinunciare alle proprie convinzioni, è disponibile a un confronto fecondo per tutti.

 

 

Un dialogo sull’identità dell’uomo e un confronto per Pavia

 

L’avvio della recente iniziativa intitolata “Mai troppo umano”, promossa dalla Diocesi in collaborazione con un gruppo di docenti e medici dell’Università e del Policlinico “San Matteo” intende essere un tentativo di sperimentare un tale dialogo sulle questioni più vive e più inquietanti che riguardano l’identità dell’uomo, creando uno spazio e un’occasione di confronto per tutta la città di Pavia. Senza nessuna volontà di supremazia della Chiesa, né di nostalgia per tempi che furono, sarebbe tuttavia una grave miopia non voler riconoscere il contributo che il cristianesimo ha dato e continua a dare alla storia, alla cultura e alla vita della nostra città, così come della nostra nazione e dell’intero continente europeo, plasmato in profondità da una visione originale e positiva della persona e del mondo, che affonda le sue radici nella fede giudaico-cristiana, con la sua valorizzazione del lavoro e dell’attività umane e con la convinzione che la realtà, poiché è creata da Dio, è intelligibile, è conoscibile, è buona. Onorare San Siro, in questa prospettiva, non è soltanto un gesto di fede e di tradizione cristiana, ma acquista anche il senso di una memoria condivisa: perché tutta Pavia porta inscritta nelle sue strade, nelle sue chiese, nelle sue piazze, le tracce di una storia cristiana; anche chi non si riconosce pienamente nella fede o non vive l’appartenenza alla vita della Chiesa, non può leggere e decifrare i segni del passato e del presente, cancellando l’eredità del cristianesimo pavese, dei suoi santi, delle sue opere di cultura e di carità, delle sue parrocchie con i loro oratori. Inoltre, lo studio appassionato e competente del passato, delle lettere, della filosofia, la fioritura della ricerca scientifica, con le sue scoperte avvenute nei locali della nostra università e degli istituti di cura e di ricerca medica, le prospettive attuali di nuove forme di lavoro e d’impresa, capaci di competere nell’arena di un mondo globalizzato, sono espressioni dell’umano, che hanno un rapporto, spesso ormai inconsapevole, con l’umanesimo cristiano. Certo, non occorre essere cristiani per coltivare e vivere queste dimensioni così decisive per il presente e il futuro della nostra città, tuttavia è innegabile che le radici della visione, implicitamente presente nello sviluppo di queste attività, hanno a che fare con la concezione cristiana del mondo e dell’uomo.Onorare San Siro, per la Chiesa pavese, è accogliere il grande compito di continuare a testimoniare il Vangelo di Gesù, come sorgente fresca di un umanesimo positivo e creativo, è sentire la passione di offrire luoghi e gesti di vita, che rendano visibile la bellezza e l’umanità profonda della fede, nelle comunità parrocchiali, negli oratori, negli ambienti di studio e di cultura, d’educazione e di formazione, di lavoro e di cura. Perché solo così le radici cristiane della nostra storia non saranno un passato che non parla più a nessuno, ma qualcosa di presente, che continua a germogliare frutti di umanità, di verità e di bene per tutti.

 

 

Mons. Corrado Sanguineti

(Vescovo di Pavia)