La Sacra Scrittura di domenica 18 aprile

Il commento di don Michele Mosa. «In lui l’amore di Dio è veramente perfetto»

È sempre una questione d’amore. Anche là dove sembra essere un affare di regole e comportamento. La vita si snoda fra diritti e doveri, fra la mia e la tua libertà: di pensiero, di movimento, di coscienza, di religione…Ma se vuoi conoscere cos’è la vita, meglio se vuoi vivere in pienezza devi conoscere l’amore. Devi amare. E qui il primo scoglio. «L’amore non è una cosa che si può insegnare, ma è la cosa più importante da imparare», diceva Giovanni Paolo II. Non c’è una scuola che ti insegni ad amare: forse ci sarà qualche professore che cercherà di spiegarti cosa sia l’amore, cosa significhi amare ma è solo teoria: 30 e lode all’esame non basta per amare. Perché l’amore è concreto: non si ama in astratto. Non si è padri o madri perché si sa come nascono i bambini, non si è educatori perché si è laureati in pedagogia, non si è testimoni di Cristo perché si è frequentato il catechismo e fatto la cresima: c’è bisogno di fare esperienza. Esperienza personale e comunitaria. Si è padre quando si cammina accanto a un figlio, si è educatori quando ci si mette in gioco accompagnando la crescita di un “cucciolo d’uomo”, come cantava Eugenio Finardi. È sempre una questione d’amore perché è sempre una questione di relazione. Scrive lo psicologo Vittorino Andreoli: «Non c’è un solo momento della nostra vita in cui non siamo legati all’altro. Il bimbo quando nasce è perduto se non trova la madre che lo riscalda, e anche l’identità che in lui si forma è sempre legata alle persone di riferimento. Io sono per il noi. L’io è una falsificazione, abbiamo bisogno di essere io ma con l’altro». Per questo – almeno credo – Giovanni lega la conoscenza di Gesù all’ascolto e all’obbedienza, cioè alla vita vissuta non al sapere teologico astratto. È relazione non sapere. È cioè qualcosa di personale, è la “tua storia” uguale a mille altre storie eppure tua e soltanto tua. Perché è vissuta nella quotidianità. È fatta di entusiasmo e ritirate strategiche. Di generosità ed egoismo. Di amore e di peccato. «Ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paraclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto», abbiamo cioè un avvocato, abbiamo Qualcuno che si prende cura di noi davanti al Padre. Mi piace pensarlo così: abbiamo un “complice” che ci difende, come quando da bambini, tra fratelli, ci si difende e protegge a vicenda. È sempre una questione di famiglia: non sarebbe una questione di Vangelo altrimenti. Forse sarebbe una questione religiosa ma non la chiamerei cristianesimo. Basta guardare al Crocifisso per capirlo: quello è il banco dove siede l’Avvocato difensore, il Paraclito. Difficile? È il secondo scoglio da superare. In questo ci aiuta Benedetto XVI: «la “scientia fidei” e la “scientia amoris” vanno insieme e si completano, la ragione grande e il grande amore vanno insieme, anzi il grande amore vede più della ragione sola». Non mi resta che rileggere una breve poesia di Karol Wojtyla: «L’amore mi ha spiegato ogni cosa, l’amore ha risolto tutto per me. Perciò ammiro questo amore ovunque esso si trovi». E provare a vivere così. Avvolto dall’amore del Padre che si manifesta nell’abbraccio del Figlio crocifisso e nel dono dello Spirito Paraclito.

 

Don Michele Mosa