La Sacra Scrittura di domenica 8 novembre

Il commento di don Michele Mosa. «Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza»

In molte parrocchie, salvaguardate tutte le norme anti-Covid19, in questi giorni si è celebrato l’Eucaristia al cimitero. Una cosa mi ha colpito, e lo sottolineo perché mi sembra importante soprattutto in questi giorni di recrudescenza del virus e del crescente senso di precarietà e di paura: non ho visto volti tristi e malinconici. Ho incontrato persone segnate dalla fatica, dalla sofferenza e dal lutto eppure ancora aperte al futuro, ancora capaci di sorridere. E, a parte qualche caso, non si trattava di rassegnazione: è la fede, quella che forse fa capolino solo in questi giorni e in questi luoghi – chissà perché più al cimitero che nel tempio – e invita ad alzare lo sguardo al cielo. Paradosso della fede: dici morte e in realtà pensi vita. Guardi al passato e sogni futuro. Ringrazi e senti la voglia di donare ciò che hai ricevuto. Così immagino la comunità di Tessalonica: con gli occhi al cielo, nell’attesa del Cristo che torna. E una domanda nel cuore: e i nostri morti? I nostri genitori? I nostri figli? Domande che ancora oggi la morte ci fa: e perché giocare a fare i filosofi non risolve nulla. Si tratta – credo – di riaccendere dentro di noi la fiamma dell’attesa e della ricerca. Di superare la logica umana della fine e aprirci a quella divina del fine. Dobbiamo riprendere in mano la Scrittura: non possiamo accontentarci del catechismo fatto da bambini e delle omelie della domenica. «Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo» – scriveva San Girolamo.Le domande continueranno a nascere dentro di noi – e menomale –: non possiamo restare nell’ignoranza. Senza risposte. O con false risposte. Ecco allora le parole di Paolo: guardiamo a Cristo, immergiamoci nella sua Pasqua e sperimenteremo la gioia che viene dal conoscere il fine della nostra vita senza essere schiacciati dalla paura della fine. Ci attende l’abbraccio del Padre e dei fratelli e delle sorelle, immensa e meravigliosa famiglia di Dio. Vivere in questa prospettiva non distoglie dalla realtà quotidiana, tutt’altro. Aiuta a non dimenticare perché vivi e a fare della tua vita un dono. Riempie di gioia. Scaccia la tristezza. Chiudo con una delle più note frasi di Filippo Neri – e così ricordo anche un grande attore che spesso mi ha regalato allegria, Gigi Proietti, che lo ha interpretato – «il diavolo ha paura della gente allegra». Ops.. speriamo di trovare gente allegra domenica a Messa e non le solite facce da funerale.

 

Don Michele Mosa