La Sacra Scrittura di domenica 25 ottobre

Il commento di don Michele Mosa. «Vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio»

In sintesi, è il mio quotidiano cammino, la mia tensione continua: conversione, servizio, attesa. Passato, presente e futuro. In realtà dovrei dire che più che la mia vita si tratta del mio sogno, del mio desiderio. Di ciò che mi piacerebbe realizzare. Vorrei sapermi allontanare ogni giorno dai miei idoli: dall’egoismo all’orgoglio al sentirmi superiore agli altri; dal bisogno di affermare le mie idee all’esercizio del potere (con l’illusione, inevitabile, di non sbagliare). “Conversione”: atteggiamento primo – unico?! – della vita del cristiano, perché – come afferma il Concilio Vaticano II nel decreto sull’Ecumenismo (“Unitatis redintegratio”) al numero 6 – «Ogni rinnovamento della Chiesa consiste in una fedeltà più grande alla sua vocazione. La Chiesa è chiamata a questa continua riforma». Di qui il secondo atteggiamento: la conversione porta al “servizio”. Servizio di Dio che si concretizza nel servizio degli uomini e delle donne che vivono con noi. Troppo facile essere credenti e devoti in chiesa e poi non testimoniare il vangelo nella quotidianità. O almeno non provarci.  Servizio che si alimenta nell’attesa di un incontro, di un abbraccio: nell’oggi è la “comunione sacramentale”, nella speranza è la contemplazione della luce del volto del Padre, come ci ricorda la Liturgia eucaristica. Ma qui inciampo (inciampiamo): aspettiamo qualcosa? Qualcuno? Siamo ormai tutti appiattiti sul presente, sulla precarietà dell’oggi per poter allungare cuore e mente e sguardo al domani. E, se lo facciamo, è solo per paura: di non arrivare a fine mese, di perdere qualcuno o qualcosa (la mamma o la nonna malata, il lavoro…). Attesa come apertura all’altro, come desiderio di incontro, come atteggiamento positivo verso gli altri (e se stessi, a ben pensarci)? Dinamiche fuori dal nostro orizzonte. Mi lascio provocare e provoco con queste parole di Theilhard de Chardin: «Il Signore Gesù tornerà presto se lo aspettiamo con speranza viva. La Parusia deve essere fatta esplodere dall’accumularsi dei desideri. E noi cristiani, chiamati a mantenere sempre viva sulla terra la fiamma del desiderio, che cosa abbiamo fatto dell’attesa?… Continuiamo a dire che vegliamo nell’attesa del Signore. Ma in realtà, se vogliamo essere sinceri, saremo costretti ad ammettere che non attendiamo più niente. È assolutamente necessario ravvivare la fiamma. Dobbiamo, ad ogni costo, rinnovare in noi stessi il desiderio e l’attesa del grande avvenimento». Forse dobbiamo prima riconoscere la mancanza più seria della nostra vita di cristiani: Dio sarà anche vero (unico: è un dato scontato se esiste un dio), ma è vivo? Cioè interagisce con gli uomini, con me? E se dovessimo rimettere davvero il Vangelo al centro e non la Madonna o i Santi, o meglio le statue della Madonna e dei Santi? Se dovessimo cioè proprio riscoprire la Scrittura e il Dio che la abita? Un dio vivo oltre che vero. Un dio che cammina, che si arrabbia e che ama. Che si commuove e minaccia. Che muore e risorge. Che sta alla porta e bussa. Che attende. Ma sarà atteso?

 

Don Michele Mosa